Sette mesi dopo il colpo di stato che in Gabon ha posto fine a 55 anni di “dinastia Bongo” (Omar Bongo, presidente per 41 anni e il figlio Ali, più di 14), si è tenuto ad aprile, a partire dal 2 e fino al 28, il Dialogo nazionale inclusivo (Dni). A presiederlo è stato chiamato l’arcivescovo di Libreville e presidente della conferenza episcopale, mons. Jean Patrick Iba Ba. Quasi a riconoscere lo statuto “neutrale”, ma soprattutto il ruolo sociale importante che la Chiesa cattolica e le altre Chiese (85% dei gabonesi si dicono cristiani) svolgono nel paese (tramite le scuole, le strutture sanitarie e di carità), lontane dal far politica, ma solo preoccupate di far vivere bene insieme i gabonesi.
Il capo dello stato e leader della transizione, il generale Brice Clotaire Oligui Nguema (presidente ad interim dal 4 settembre 2023), ha ricevuto il report finale dell’iniziativa in settimana. Il presidente di transizione aveva promesso una vasta consultazione nazionale in vista delle elezioni previste ad agosto 2025. Subito però l’opposizione aveva espresso il timore che il dialogo fosse “fagocitato” dai turiferari del nuovo uomo forte del paese.
La comunità internazionale si è mostrata piuttosto accondiscendente nei confronti dei militari golpisti. Forse a ragione. Il rispetto fin qui del calendario di una transizione di due anni viene a confermare la scommessa. Senza contare poi che una grande parte dei gabonesi vede nel generale Oligui quell’ “eroe” che ha fatto non un colpo di stato ma un “colpo di liberazione”, salvando il paese da una regime “corrotto”, incapace di cogliere amarezze, delusioni, tensioni sociali, divisioni…in un paese che stava naufragando.
Meno politico ma veramente nazionale
Ed ecco allora il dialogo nazionale come iniziativa dei militari che hanno sentito il bisogno di far sedere, intorno allo stesso tavolo, gabonesi di tutti i partiti, di ogni ordine e gruppo sociale, intellettuali e politici allo scopo di definire insieme un nuovo modello per il paese. Un dialogo non politico, come lo erano quelli precedenti, ma nazionale e inclusivo, capace cioè di far sì che tutti i gabonesi, nessuno escluso, potesse dire la sua. Le misure sarebbero state prese in maniera consensuale.
Gli obiettivi del dialogo – in primis le riforme politiche e istituzionali da apportare ‒sembrano essere stati raggiunti grazie a una strategia, un piano di lavoro e una metodologia che hanno fatto sì che l’insieme delle tematiche venissero affrontate da tre commissioni: politica, economica e sociale, e le sottocommissioni. Si è quindi parlato di: regime e istituzioni politiche, sovranità nazionale, diritti e libertà, riforma e organizzazione dello stato per una migliore democratizzazione della vita politica del paese, economia e finanze, infrastrutture e lavori pubblici, lavoro, agricoltura e ambiente.
Le raccomandazioni sono state adottate in seduta plenaria sabato 27. Non sono costringenti – il dialogo non era “sovrano” – e non sono ancora state rese pubbliche, ma dalle indiscrezioni e dichiarazioni dei partecipanti (più di 600 in rappresentanza di tutte le categorie sociali) si capisce che si è lavorato sodo, non risparmiando critiche al “sistema Bongo).
Le proposte
La storia non si deve ripetere. Quindi non ci saranno più presidenze a vita, manipolazioni della Costituzione, pressioni sul potere legislativo o giudiziario. Il presidente verrà eletto per 7 anni, rinnovabile una sola volta. Dovrà essere gabonese di padre e madre, senza doppia nazionalità (quanti “sospetti” ai tempi del figlio di Omar, Ali). Sarà capo del governo, quindi sparisce la figura del primo ministro, ma ci sarà un vicepresidente all’americana con poteri delegati. Il presidente sarà responsabile di fronte al parlamento (viene mantenuto il principio del bicameralismo, camera e senato) cui però è sottratta la facoltà di cambiare la Costituzione. I parlamentari saranno eletti per 5 anni, rinnovabili senza limite. L’attuale presidente ad interim potrà portarsi candidato alle prossime presidenziali.
Se il presidente rimane a capo del Consiglio superiore della magistratura (Csm), il ministro della giustizia non potrà farne parte, impedendogli ogni pressione sui pubblici ministeri, cosa che aveva generato tanti malumori sotto i Bongo.
La riforma della Corte costituzionale (dalla sua creazione è stata presieduta dalla signora Marie-Madeleine Mborantsuo, che ha permesso di validare i brogli elettorali che hanno permesso ai Bongo di mantenersi al potere) sarà operata dalla futura assemblea costituente che sarà eletta per redigere la nuova Costituzione.
I partiti alla porta
La polemica è subito scoppiata intorno alla misura radicale di sospendere i partiti politici (più di un centinaio) fino a quando non saranno scritte nuove regole per la loro formazione. Questi erano già furiosi per non aver avuto ciascuno che un solo rappresentante al dialogo invece dei quattro proposti. La raccomandazione viene vista come un’ulteriore sanzione. Da notare però che alcuni di questi altro non erano che una creazione del regime per indebolire l’opposizione. Per un paese di 2milioni di abitanti (stime 2020 della Banca mondiale), cento partiti sembrano veramente troppi… Trattamento speciale è riservato al Partito democratico gabonese (Pdg, che qualcuno voleva sopprimere): i leader dell’ex formazione al potere, saranno ineleggibili per i prossimi tre anni.
Saranno infine rivisti tutti gli accordi di cooperazione al fine di fare chiarezza. Nel paese è reale il sentimento che dopo 60 anni questi accordi abbiano finito per instaurare un regime di privilegi. C’è addirittura chi ritiene che il paese non si sviluppi secondo le sue potenzialità perché frenato da questi partenariati. Tutti pensano in primis al camp de Gaulle, la base militare che accoglie centinaia di soldati francesi dai giorni dell’indipendenza. Un certo sentire antifrancese serpeggia anche in Gabon…Ma non verrà chiusa, bensì si procederà a una revisione degli accordi di difesa con la Francia, anche perché i soldati francesi forniscono la formazione degli eserciti dei paesi della Ceeac, la Comunità economica degli stati dell’Africa centrale.
Ora tocca all’esecutivo passare gli atti. Una bella sfida per i militari. Cui diamo il tempo di leggersi le raccomandazioni e tenerne conto. Governo e ministero della riforma delle istituzioni saranno in prima linea per farle applicare.