Nata a Mombasa, sull’Oceano indiano, è dall’acqua che trae nutrimento la sua scrittura visionaria eppure così nitida nel fissare, quasi fossero fotogrammi, meditazioni e scenari, decisioni e inciampi. La scrittrice kenyana, alla sua prima opera letteraria, impasta senza fretta la materia che ha davanti agli occhi ogni giorno e dopo poche righe assorbe il lettore dentro il suo mondo: «(il nome di Dio) È pronunciato anche prima di nuotare.
La gente del posto rende all’acqua l’onore che merita, e spesso in cambio viene lasciata in pace, se quel giorno l’acqua sente che non ci sono lezioni da impartire o buone maniera da insegnare. La gente del posto lo sa, ci sono cose nell’acqua che ti mangerebbero vivo». Dopo la morte della madre, è dall’acqua che arriva un’altra cattiva notizia. Ed è sfidando le onde e gli squali e i fantasmi che vi si celano che la ragazzina protagonista del romanzo, Aisha, prende la decisione di non attendere più il ritorno del padre pescatore – andato per mare e scomparso – ma di andare a cercarlo ovunque sia rimasto impigliato.
Ad accompagnarla – forse a guidarla: gli animali sono tanti in questa storia e nessuno che stia al suo posto, cioè nel ruolo che hanno deciso gli uomini – troviamo Hamza, un gatto che la sa lunga e che è prodigo di consigli: «Ritorna in questa casa solo quando avrai deciso. Aspetterò la tua risposta. La prossima volta che verrai, sarà per incontrarmi su questa soglia e scegliere se ami tuo padre o il suo ricordo».
Un’opera d’impianto favolistico che si lascia leggere e che non mancherà di sollecitare l’attenzione dei lettori, soprattutto quelli giovani (oggi in Occidente si è impunemente giovani fino alla quarantina), più inclini forse a farsi catturare dai sogni. Ai meno giovani, questo romanzo di formazione sembrerà ripercorrere vie già battute. Non tanto sul piano stilistico quanto in riferimento alle unità culturali che elaborano il perpetuo interrogativo: ma il destino è dentro o fuori di noi?
Rimane il fatto che il lavoro di Khaduja Abdalla Bajaber – laureata in giornalismo e di ascendenze hadrami, popolazione originaria dello Yemen – è stato pubblicato in inglese nel 2021 e ha vinto il Graywolf Africa Press Prize. E che lo scrittore nigeriano A. Igoni Barrett (noto per Blackass), tra i giudici del premio ha detto di The House of Rust: «È un viaggio esaltante nell’immaginazione di un’autrice per la quale il fantastico non è solo scritto, ma è rappresentato sulla pagina.
Bajaber ha infuso nuova vita alla secolare storia di avventura in alto mare, con questo romanzo eroico ha colpito in profondità quel regno mitico esplorato da tutti, da Omero a Hemingway». L’autrice nelle pagine dedicate ai ringraziamenti si rivolge così a Mombasa: «Perdonerai le mie intrusioni? In molti provano a sfuggirti. Se provando a renderti onore ti ho disonorata, perdonami».