La repressione dei gay in Africa – e in generale di chiunque possa rientrare nelle “categorie” LGBTQIA+ – occupa molte delle energie e dell’impegno di governi e parlamenti africani. Al 2023 erano 31 su 54 gli stati africani dove l’omosessualità è punita con la prigione, in alcuni casi una sentenza a vita o la pena di morte. Come è il caso della Nigeria, Mauritania, Somalia, Uganda.
Anche se nel primo caso esiste una moratoria dal 1987, per gli altri due paesi non si ha notizia di esecuzioni di condanne capitali, e per quanto riguarda l’Uganda la nuova normativa draconiana è stata introdotta lo scorso anno ma è stato presentato un ricorso alla Corte Suprema.
Dicevamo, erano 31 su 54, perché da pochi giorni se ne è aggiunto un altro, il Burkina Faso, la cui giunta militare ha annunciato il varo di una nuova legge che, appunto, rende perseguibili le relazioni tra persone dello stesso sesso.
Anche se mancano ancora i dettagli, si tratta di una conferma della presa di posizione del mondo politico (o delle giunte militari) africane nei confronti delle comunità LGBTQIA+.
La decisione del Burkina Faso rientra in una più ampia revisione delle leggi sul matrimonio. La nuova legislazione – che deve ancora essere approvata dal parlamento controllato dai militari e firmata dal leader della giunta Ibrahim Traoré – riconosce solo i matrimoni religiosi e consuetudinari.
In Burkina Faso i musulmani costituiscono circa il 64% della popolazione mentre i cristiani il 26%. Il restante 10% segue le religioni tradizionali o non ne pratica alcun tipo.
Se molti paesi africani, in particolare quelli che sono ex colonie britanniche, avevano ereditato Costituzioni in cui erano presenti articoli anti-omosessuali, questo non era avvenuto per “il paese degli uomini integri” dopo l’indipendenza dalla Francia. Ci pensano adesso i militari a togliere diritti ed esprimere una nuova visione delle libertà personali.
Uganda e Ghana
Lo scorso anno hanno fatto assai discutere le decisioni del governo ugandese e ghanese. Il primo ha adottato una legislazione molto dura, nei confronti della quale, come dicevamo, è stato fatto ricorso da parte di attivisti e organizzazioni per i diritti umani.
Una legislazione che ha fatto intervenire anche la Banca Mondiale che ha sospeso i nuovi prestiti al governo del presidente Yoweri Museveni, mentre gli Stati Uniti hanno smesso di concedere alle merci ugandesi un accesso preferenziale ai propri mercati.
La questione economica è il motivo per cui il presidente ghanese, Nana Akufo-Addo, alla fine non ha firmato la legge approvata dal parlamento, attendendo il pronunciamento dei giudici costituzionali.
Il paese sta attraversando un periodo finanziario molto critico, ha già fatto ricorso a un piano di salvataggio dal Fondo monetario internazionale e lo stesso ministro delle Finanze ha avvertito che se il disegno di legge diventasse legge, il Ghana potrebbe perdere 3,8 miliardi di dollari in finanziamenti della Banca Mondiale nei prossimi cinque o sei anni.
Tra i presunti valori tradizionali e la “salvezza” della famiglia come istituzione, i governanti qualche volta devono fare prima i conti con le casse dello Stato.
Ma non sono gli unici casi di governi e parlamenti africani che stanno inasprendo normative – o contano di farlo – nei confronti degli LGBTQIA+. Come dimostrano i casi della Tanzania o del Kenya.
Discorsi pubblici – soprattutto animati dai politici – che generano ondate di odio che a volte si trasformano in azioni orribili, come l’uccisione e lo smembramento, lo scorso anno di una 43enne tanzaniana in un presunto attacco omofobico, o come l’ordine dato da giudici – sempre in Tanzania – di invasivi “controlli medici” a uomini sospettati di aver avuto relazioni omosessuali.
E spesso ad essere chiamate in causa come istigatrici di odio e violenza nei confronti dei gay, sono le chiese evangeliche estremiste ma anche i conservatori anglicani e alcune organizzazioni cristiane, come avvenuto in Botswana. Ma anche la lunga mano della destra e dei gruppi pro-famiglia statunitensi.
Paesi virtuosi
Eppure, nonostante questa generale recrudescenza ci sono paesi che vanno controcorrente. Sono 23 in Africa quelli dove il sesso consensuale tra adulti dello stesso sesso è depenalizzato. I più recenti ad aggiungersi alla lista sono stati Maurizio, Botswana, Gabon e Angola.
Le relazioni tra lo stesso sesso oltre che in Angola, sono legalizzate anche negli altri paesi africani lusofoni: Mozambico, Guinea-Bissau, Capo Verde, São Tomé e Príncipe.
Nel 2023 la Corte Suprema della Namibia ha invece stabilito il riconoscimento di matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero e più di recente ha invalidato la “legge sulla sodomia”, retaggio dell’epoca coloniale, che puniva penalmente i rapporti omosessuali.
C’è poi un solo paese, nel continente, che consente per legge i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Si tratta del Sudafrica. Ma se da un lato si tratta di un paese all’avanguardia, la legge è del 2006, una normativa non basta a garantire pace e sicurezza agli individui. Né un cambio automatico di mentalità.
In Sudafrica è tristemente noto il fenomeno degli stupri correttivi nei confronti delle lesbiche nere. Le leggi, la società, gli sberleffi, il dito puntato, il rischio serio di attacchi: i gay africani cercano di proteggersi, la maggior parte restando in silenzio e sperando in tempi migliori.
E allora un atto come quello della figlia del presidente del Camerun, Paul Biya, può essere utile. Lei stessa, Brenda Biya, 27 anni – che pochi giorni fa ha dichiarato apertamente il suo amore per un’altra donna condividendo anche l’immagine di un bacio tra le due – ha detto che spera che il suo coming out possa aiutare a cambiare la legge che vieta le relazioni tra persone dello stesso sesso nel suo paese.
Fatto è che Brenda Biya è in qualche modo una privilegiata e, soprattutto, vive all’estero. In ogni caso è un gesto importante. Il fratello e la madre le avevano chiesto di rimuovere il post dai social. Ma sul suo account Instagram c’è un video dove il bacio tra le due è assai più esplicito. E non è stato rimosso.