Su forze dell’ordine e politica accuse di profilazione razziale e discorsi d’odio
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Dopo l’ONU arriva il Consiglio d’Europa: raccomandazioni all’Italia su episodi di razzismo ed hate speech
Dito puntato su forze dell’ordine e politica: profilazione razziale e discorsi d’odio
23 Ottobre 2024
Articolo di Redazione
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Nel settembre del 2023 era stata l’ONU a condannare le forze dell’ordine italiane per troppi episodi di razzismo e a chiedere che il parlamento intervenisse.

Il Comitato per l’eliminazione delle discriminazioni razziali si diceva “preoccupato le numerose segnalazioni sull’uso diffuso della profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine” e sollecitava l’Italia a dotarsi di una legge che sanzionasse oltre che questi episodi anche quelli che, sempre più spesso, avevano come protagonisti personaggi politici e funzionari di stato.

Il 2 ottobre scorso, anche gli esperti inviati dall’ONU nelle carceri e nei centri di detenzione hanno denunciato che «in Italia persiste un razzismo sistemico nei confronti di africani e di persone di origine africana, e in generale contro le persone straniere, nell’applicazione della legge da parte delle forze dell’ordine e all’interno delle carceri».

Troppo diffuso il linguaggio e i comportamenti di odio e razzisti. Troppo impuniti.

Ora è il Consiglio d’Europa, con il quarto rapporto della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI), cui spetta il monitoraggio in materia di diritti umani.

Un monitoraggio chiuso nel mese di aprile e che mette in evidenza come l’ECRI abbia “ricevuto molte testimonianze di profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine, soprattutto sulla comunità rom e sulle persone di origine africana”.

E arriva dunque ancora un richiamo che sottolinea “l’obiettivo di individuare e affrontare qualsiasi pratica di profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine”. Con un nuovo step indicato: Strasburgo valuterà tra due anni se la raccomandazione sarà stata seguita.

Anche il rapporto del Consiglio d’Europa infatti fa riferimento al discorso pubblico “diventato sempre più xenofobo” e ai discorsi politici che “hanno assunto toni fortemente divisivi e antagonistici, in particolare nei confronti di rifugiati, richiedenti asilo e migranti, nonché di cittadini italiani con origine migratoria, rom e LGBTI”.

Con lo stesso tipo di considerazione finale: “Il discorso d’odio, anche da parte di politici di alto livello, resta spesso incontrastato”.

E tra le pagine torna ancora una volta il termine “razzismo istituzionale”. Un termine che viene riempito di esempi, perché l’ECRI è ente che monitora attraverso la consultazione di fonti solide e la raccolta di dichiarazioni.

Fonti e dichiarazioni in cui si trova conferma dei frequenti fermi e controlli da parte delle forze dell’ordine, basati sull’origine etnica e convalidati dai rapporti delle organizzazioni della società civile e da altri organismi di monitoraggio internazionali.

Un fare non documentato da chi in realtà dovrebbe: “Le autorità non raccolgono dati adeguatamente disaggregati sulle attività di fermo e di controllo della polizia, né sembrano essere consapevoli dell’entità del problema, e non considerano la profilazione razziale come una forma di potenziale razzismo istituzionale”.

Mentre il rapporto lo esplicita: “La profilazione razziale ha effetti notevolmente negativi, in quanto genera un senso di umiliazione ed ingiustizia per i gruppi coinvolti provocando stigmatizzazione e alienazione. È inoltre dannosa per la sicurezza generale in quanto diminuisce la fiducia nella polizia e contribuisce a non denunciare reati”.

D’altra parte, la Commissione riporta uno studio del 2022 condotto tra persone migranti cui veniva chiesto in quale ufficio pubblico sentivano di aver subìto più discriminazioni e la risposta più comune era stata i commissariati di polizia, con un 45,8%.

È qui che avviene “il rifiuto dell’accettazione delle loro richieste di asilo senza un motivo”, la “distruzione dei loro documenti”, gli “abusi verbali durante le procedure negli uffici immigrazione dei commissariati di polizia e, in alcuni casi, di aver subito violenze da parte degli agenti di polizia”.

Ma è un rapporto che tra le sue 48 pagine punta il dito anche sui discorsi d’odio di alcuni noti esponenti politici, che di fatto non nomina ma di cui nei link spuntano i nomi, come il ministro Matteo Salvini, non nuovo all’hate speech, o Roberto Vannacci che va ben oltre alla questione razziale nel suo libro.

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