Le disuguaglianze e le ingiustizie sociali oggi passano anche attraverso Internet. Attraverso la possibilità o meno di utilizzo della Rete. E in questo senso l’Africa è ancora lontana dal riempire quello spazio vuoto che si chiama digital divide (divario digitale) e che in sostanza significa meno opportunità, meno crescita, meno sviluppo.
Soprattutto per quelle giovani generazioni africane nate in pieno boom digitale e quindi potenzialmente in grado di sfruttare le nuove tecnologie anche per costruire benessere e lavoro.
Potenzialmente, poiché gli ostacoli al godimento del diritto di accesso ad Internet in Africa sono ancora tanti. Lo scorso anno il Consiglio dei diritti umani dell’Onu ha emanato una risoluzione su tale materia che mira a proteggere i diritti dei cittadini in Rete (e attraverso l’uso della Rete) ma anche a combattere quel vuoto che tiene al buio ancora tanti individui al mondo.
Ritardi e mancato sviluppo
Quanto sia ancora esteso il digital divide nel continente africano, lo spiega il nuovo Global Connectivity Report 2022 curato dall’Unione internazionale delle telecomunicazioni (Itu), agenzia delle Nazioni Unite specializzata sui temi delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Nel rapporto si sostiene, con estrema chiarezza, che: “mentre un accesso facile e conveniente alla banda larga veloce è quasi onnipresente nella maggior parte delle nazioni del mondo ricco, vaste fasce di umanità rimangono escluse dalle immense possibilità offerte dall’esperienza online, arrestando lo sviluppo economico e aggravando le disuguaglianze globali”.
Nel 2021, si legge nel rapporto, almeno 2,9 miliardi di persone in tutto il mondo – circa un terzo dell’umanità – erano ancora offline. La maggioranza di questa popolazione (1,7 miliardi) si concentra dell’area Asia-Pacifico, seguita dall’Africa con 738 milioni di persone.
Ma, “in percentuale – chiarisce il report – l’Africa è la regione meno connessa, con il 67% della popolazione offline (dati 2020), seguita dall’Asia-Pacifico (39%) e dagli Stati arabi (34%)”. Inoltre, oltre il 60% della popolazione in Europa vive a meno di 10 chilometri da una rete in fibra, mentre la portata delle reti in fibra ottica in Africa è solo del 25% rispetto al 22% in Asia-Pacifico e al 26% in gli Stati arabi.
Un ritardo – quello in cui su questo fronte l’Africa continua ad essere primo in classifica – che può essere spiegato, tra l’altro, da un basso tasso di penetrazione di Internet e da un costo elevato della connettività.
Elementi fondamentali per spiegare come mai l’immenso potenziale di Internet per il bene sociale ed economico rimanga in gran parte inutilizzato, nonostante 30 anni di crescita costante. Crescita dovuta soprattutto alla diffusione degli smartphone anche in questa parte del mondo.
La connessione: un lusso
Ma in Africa il costo degli abbonamenti a banda larga e dei dispositivi digitali rimane un grosso ostacolo. E mentre l’accesso a Internet è diventato progressivamente più economico nei paesi più ricchi, questo è ancora proibitivo in molte economie a reddito medio-basso.
Teniamo anche conto che, secondo i parametri dell’Onu, la connessione è considerata giusta e conveniente quando il costo di un giga è inferiore al 2% del reddito mensile lordo. «In Africa il prezzo di un abbonamento Internet mobile di base che include 2 GB di dati costa in media il 6,5% del reddito mensile del consumatore» afferma a SciDev.Net Thierry Geiger, a capo della divisione Data e Analisi all’Itu. «Questo – continua l’economista – rappresenta il triplo del valore medio mondiale (1,9%)».
Dunque, per una connessione fissa a banda larga, il costo medio in Africa è rappresentato dal 18% del reddito medio, più di cinque volte il valore medio a livello globale.
E come ricordava The Africa Report, in un articolo sulla comparazione di costi e performance dei vari paesi africani, nel 2020, il prezzo medio per 1 GB di dati mobili in Africa era superiore a 5 dollari, mentre il prezzo per giga nell’Unione Europea era di circa 3,5 dollari (sceso rispetto ai 4,1 del 2018).
Mentre un recente lavoro di Statista.com elencava le 15 nazioni africane con i dati mobili più costosi, classificati in base al costo di 1 giga in dollari statunitensi. In cima, la Guinea Equatoriale dove 1 solo giga è pari a 49,67 dollari. Cifre, ovviamente, improponibili, per una popolazione il cui reddito medio annuo equivale a circa 8.400 dollari.
Sono condizioni che si ripercuotono in tantissimi aspetti della società e che incidono sulle sue capacità di sviluppo. Un esempio è l’impossibilità per molti di utilizzare applicazioni che sarebbero indispensabili per informarsi, per operazioni finanziarie o per la crescita del proprio business.
Cosa di cui non può non risentire il settore, così fiorente in Africa, delle start-up. E se i costi di connessione variano all’interno dei paesi, le aree remote dove le popolazioni hanno redditi bassi sopportano paradossalmente tariffe più elevate proprio perché la connessione alla rete è più problematica e non garantita da infrastrutture adeguate.
Freno allo sviluppo
Non va poi dimenticata l’impossibilità per intere aree di essere servite da servizi sanitari online, senza contare l’enorme divario reso visibile dall’emergenza Covid, quando milioni di bambini e ragazzi (e gli stessi insegnanti) sono rimasti esclusi dall’e-learning che nella maggior parte de paesi africani è rimasto appannaggio quasi esclusivamente delle classi agiate e delle popolazioni urbane.
Insomma, l’impatto del mancato accesso alla rete legato sia alle condizioni strutturali, sia alla carenza (ancora) di impianti e collegamenti, sia agli alti costi di connessione, è assai elevato e incide su aspetti diversi della società.
La trasformazione digitale – assicurata con l’annuncio di piani e programmi faraonici – si sta intanto muovendo con lentezza, e soprattutto in maniera iniqua e poco sostenibile.
Nel 1984 la Commissione indipendente per lo sviluppo delle telecomunicazioni mondiali istituita dall’Itu pubblicava un documento dal titolo The missing link (L’anello mancante) che già identificava una chiara correlazione tra l’accesso alle telecomunicazioni e lo sviluppo socio-economico.
Molteplici divari
Quasi 40 anni dopo, quell'”anello mancante” persiste ancora. Anzi, si è trasformato in molteplici digital divide, come si legge nel Global Connectivity. Divari ripartiti a livello globale.
Divario di reddito: il livello di utilizzo di Internet nei paesi a basso reddito (22%) rimane molto al di sotto di quello dei paesi ad alto reddito, che si stanno avvicinando all’uso universale (91%); divario urbano-rurale: gli utenti di Internet rappresentano il doppio nelle aree urbane rispetto a quelle rurali.
E, ancora, divario di genere: a livello globale, il 62% degli uomini utilizza Internet, rispetto al 57% delle donne; divario generazionale: in tutte le regioni, i giovani di 15-24 anni sono quelli che utilizzano di più Internet (72%) rispetto al resto della popolazione (57%); divario educativo: in quasi tutti i paesi in cui i dati sono disponibili, i tassi di utilizzo di Internet sono più alti per quelli con più istruzione.
Il rapporto rileva anche che le maggiori sfide per affrontare questi divari non sono solo legate alla copertura della rete, ma alla sua diffusione e utilizzo.
Con appena il 5% della popolazione mondiale ancora fisicamente fuori dalla portata di un segnale a banda larga mobile, il “gap di copertura” è ora minore del “divario di utilizzo”: circa il 32% delle persone che si trovano nel raggio di una rete a banda larga mobile potrebbero teoricamente usare la rete ma la connessione rimane comunque un sogno, a causa di costi proibitivi, mancanza di accesso a un dispositivo o mancanza di consapevolezza, abilità o capacità di trovare contenuti utili.
Investimenti e progetti – dicono gli esperti – dovrebbero interrompere il ciclo dell’esclusione, ma anche mirare a stabilire un maggiore equilibrio e consapevolezza nell’utilizzo delle tante possibilità offerte dal digitale.