Si celebra oggi nel mondo la dignità di ogni essere umano sulla terra contro ogni tentativo di ridurne il valore per caratteristiche diverse da quanto considerato “normale”. Ma cos’è la normalità quando siamo quasi 8 miliardi sulla terra, 5 continenti, innumerevoli etnie, culture, lingue e religioni? Perché è così difficile osare vivere la “convivialità delle differenze” come la chiamava don Tonino Bello?
Perché non provare davvero a incarnare il desiderio di papa Francesco nella Fratelli Tutti: “Desidero tanto che, in questo tempo che ci è dato di vivere, riconoscendo la dignità di ogni persona umana, possiamo far rinascere tra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità… Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!” (Ft 8)?. Basta solo riconoscere la radicale uguaglianza delle nostre origini: il colore del sangue. E da lì ripartire per tessere il sogno della fratellanza universale in ogni ambito della vita sociale, politica, economica, lavorativa, dove si cela sempre la minaccia di scartare qualcuno o considerarlo meno importante.
Come ribadito ieri pomeriggio in piazza Bra a Verona all’evento organizzato per l’occasione dall’associazione degli Afroveronesi in collaborazione con il centro sociale Paratodos e la Rete Studenti Universitari. Sotto un bel sole, diverse persone si sono fermate per ascoltare musica, testimonianze e messaggi molto diretti. «Quando smetterete di fermarmi lungo la strada e chiedermi ‘quanto vuoi?’ solo perché ho la pelle più scura!» tuona una giovane.
Un’altra non ne può più di sentirsi dire: “Tornatene a casa tua!” perché è nata in Italia da genitori migranti e la sua casa è ben questa. Una terza, fiera di essere coppia mista con il suo ragazzo, racconta l’umiliazione ricevuta quando una signora, in sua presenza, ha detto a lui: «Ma non potevi trovarti una ragazza della tua etnia?». Parole che feriscono un’esistenza, dettate da linguaggi violenti e irriverenti che ancora sventolano termini offensivi come “extracomunitari” e “clandestini”.
Ignoranza e razzismi, non troppo velati, innalzano barriere tra persone e comunità e chi schiaccia gli altri non conosce cosa vuol dire vivere lo stigma, sentirsi umiliato, dover richiedere tremila carte per un permesso, proprio perché non si ha la cittadinanza. «Ma mica ho chiesto io di nascere in Italia!» afferma un giovane afroveronese. Nonostante tutto, i giovani in questione non demordono anche se sanno bene di essere scomodi, con le loro richieste. «Se Dio è per noi chi sarà contro di noi?» dice un altro riprendendo una frase di S. Paolo nella lettera ai Romani (Rm 8,31).
“‘Aprirsi al mondo’ è un’espressione che oggi è stata fatta propria dall’economia e dalla finanza” dice papa Francesco (Ft 12). Ma non certo dalla società che anzi si chiude a riccio in difese identitarie anacronistiche. Nel mondo della globalizzazione girano gli affari ma non, tranne lodevoli eccezioni, le mentalità aperte al diverso. Così crescono i sovranismi e l’odio verso lo “straniero”. Ma forse non ci capita a volte nella nostra vita di “essere stranieri” a noi stessi come diceva Paul Ricoeur?
Risuonano in piazza le denunce contro i decreti sicurezza, soltanto in parte ritoccati, e contro l’assenza dei politici su una seria riforma della cittadinanza che non dà risposte agli oltre 800mila alunni e alunne con passaporto straniero che crescono nelle scuole italiane e al milione di minorenni senza cittadinanza, iscritti nelle anagrafi comunali.
Esdras Litamba, membro attivo degli Afroveronesi e presentatore dell’iniziativa dallo slogan “Diverso da chi?” racconta il senso della manifestazione: «Non vuole essere la nostra una giornata triste di lamenti ma un impegno per lottare contro le tante discriminazioni che viviamo sulla nostra pelle come razzismo, omofobia, mancanza di diritti».
«Per me – continua – la discriminazione va vista come un tronco in mezzo ad una foresta che, purtroppo, rischia di far marcire anche gli altri alberi che dovrebbero essere i principi della nostra società: la libertà, l’uguaglianza, la giustizia. L’obiettivo è quello di far cadere il tronco! Noi che siamo stati discriminati dobbiamo fare il primo passo e arrivare al cuore di chi ci discrimina. Perché non tutti hanno lo stesso motivo: qualcuno lo fa perché è nato e cresciuto in un certo ambiente, altri per paura. Tendere la mano a chi ci discrimina è il modo migliore per sconfiggere il nemico e farlo diventare amico».