«Mio padre, Mohamed el-Sharif, è stato arrestato dalla polizia egiziana», ha denunciato il 7 novembre Twitter Abdullah el-Sharif. «Ora li avete in mano tutti e tre, non ho nulla da perdere» ha aggiunto l’influencer egiziano riferendosi al fatto che anche i suoi due fratelli, Amr and Ahmed, erano stati prelevati dalla residenza di Alessandria e imprigionati nel marzo 2020. Di loro non si è saputo più nulla.
Abdullah el-Sharif, che vive all’estero, ha circa 2.5 milioni di iscritti al suo programma video su Youtube, ripreso poi da molti dei social media, ed è noto per avere criticato spesso il presidente Abdel Fattah al-Sisi, l’ex generale divenuto presidente dopo aver deposto nel 2013 in un colpo di stato militare il suo predecessore Mohamed Morsi.
I fratelli vennero arrestati dopo che Abdullah diffuse un video che mostra soldati egiziani commettere abusi nel Sinai. Suo padre venne allora costretto dalle autorità a denunciare suo figlio sulla tivù di stato.
La notizia non sorprende perché dal 2014 i servizi di sicurezza egiziani arrestano frequentemente famigliari di dissidenti e attivisti in esilio che criticano pubblicamente la violazione dei diritti umani nel paese.
In effetti, un rapporto di Human Rights Watch pubblicato in settembre accusava il governo di al-Sisi di ritorsioni contro dozzine di parenti e famigliari di attivisti in esilio, confiscando i loro passaporti, proibendo loro di viaggiare e spesso arrestandoli.
Al tempo stesso prosegue lo sciopero della sete del dissidente anglo-egiziano Alaa Abdel Fattah, che è ormai in condizioni gravissime e rischia di morire durante il summit della Cop27 di questi giorni a Sharm el-Sheikh.
Già prima dell’inizio della Cop27 le autorità britanniche erano state invitate da vari organismi a sollecitare l’Egitto a rilasciare Alaa immediatamente e senza condizioni. Alaa aveva iniziato uno sciopero della fame lo scorso aprile annunciando allora che, se non avesse ottenuto la liberazione, avrebbe avviato anche uno sciopero della sete il 6 novembre, all’inizio della Cop27.
Inutili sono apparsi finora gli appelli per la sua liberazione fatti sia dalla sorella di Alaa che da Amnesty International, da EgyptWide e dall’Onu che invitano tutte le organizzazioni della società civile ad unirsi alla loro richiesta.