Sono ripresi il 4 marzo i colloqui al Cairo per il cessate il fuoco a Gaza. Secondo i media israeliani, però, le autorità di Tel Aviv non manderanno una delegazione finché non riceveranno una lista completa degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas dopo gli attacchi del 7 ottobre scorso.
Nei giorni scorsi il presidente USA, Joe Biden, aveva detto di auspicare che venisse raggiunto un accordo tra le parti, in vista dell’inizio del mese del digiuno del Ramadan il prossimo 10 marzo. Il nuovo round di colloqui arriva mentre sono oltre 30mila i morti palestinesi negli attacchi israeliani a Gaza.
Lo scorso 1° marzo in via al-Rashid, a Gaza City, oltre cento palestinesi in attesa di aiuti alimentari sono stati uccisi. E proprio il 4 marzo un nuovo massacro con almeno 9 morti e un numero imprecisato di feriti è stato denunciato in via Salah al-Din, una zona considerata “sicura”, dove la gente disperata attendeva di ricevere un camion di aiuti alimentari.
5mila dollari per lasciare Rafah
Centinaia di persone stanno cercando in queste ore di far arrivare i loro familiari ed amici a Rafah, in Egitto. Come mostra una video-inchiesta di Skynews, si sono raccolti alle porte degli uffici dell’azienda egiziana Hala che chiede ai palestinesi circa 5mila dollari a testa per uscire dall’inferno di Gaza. Per molti bloccati a Rafah si tratta dell’unica possibilità di lasciare la guerra.
A Sky News investigation has revealed that Egyptian company Hala is charging Palestinians $5,000 per person to leave Gaza, and could be making as much as $1m a day.https://t.co/1t2vXAVswY pic.twitter.com/ghoqZJl0X6
— Sky News (@SkyNews) March 1, 2024
Il valico di Rafah resta chiuso. E l’Egitto contribuisce ancora di più all’assedio di Gaza permettendo solo a pochi palestinesi con doppia cittadinanza e ad alcuni feriti di superare il confine, nonostante l’altissimo numero di palestinesi (1,5 milioni) costretti a ripararsi nel Sud della Striscia dopo gli attacchi israeliani.
«Il governo di al-Sisi è arrivato con il golpe che ha cacciato il leader delle forze islamiste. Il presidente eletto (Mohamed Morsi, ndr) avrebbe potuto fare qualsiasi cosa ma senza toccare Gaza. E nel momento in cui ha fatto aperture agli islamisti a Gaza c’è stato il golpe (2013). E al-Sisi ora garantisce di perpetuare l’assedio di Gaza», ci ha spiegato il docente dell’Università di Melbourne, Ghassan Hage.
Eppure la posizione ufficiale delle autorità egiziane è rimasta quella dello scorso 18 ottobre, quando al-Sisi ha ribadito che i palestinesi di Gaza sarebbero dovuti andare nel deserto del Negev, nel sud di Israele, e non nel Sinai.
«Credo che c’è sempre un limite. Al-Sisi può fare tutto, come un dittatore, ma c’è un limite rispetto a quello che il popolo accetta. Il presidente non accetterà i palestinesi nel Sinai perché il suo governo sarebbe colpito oltre i limiti per lui accettabili. Il suo interrogativo è: fino a che punto si può usare la repressione se già si fa enormemente leva su di essa? Anche la dittatura deve essere responsabile rispetto alle volontà delle persone», ha aggiunto Hage.
Le immagini dal satellite
Secondo le immagini satellitari pubblicate dalla BBC, le autorità egiziane hanno costruito un muro, sormontato da filo spinato nell’area di confine con la Striscia di Gaza. Le immagini sono state diffuse dopo le minacce israeliane di passare a un’offensiva di terra a Rafah.
Ma le autorità egiziane continuano a negare che l’area di 16 km quadrati debba ospitare rifugiati palestinesi. Secondo la versione ufficiale del Cairo, “si tratta di un hub logistico per raccogliere gli aiuti diretti a Gaza”.
Tuttavia, secondo operatori umanitari da anni impegnati nell’area “si tratta di un’iniziativa senza precedenti”. Secondo le immagini, almeno 4 km di muro sono già stati costruiti, a partire dagli incroci Nord e Sud-Est della cinta muraria, e i lavori sarebbero ancora in corso.
Il governatore locale ha assicurato che i lavori stanno preparando un’area “per l’attesa dei camion, uffici amministrativi, luoghi di attesa per i conducenti, depositi”. “Non abbiamo ricevuto nessuna comunicazione preliminare per un progetto del genere, credo non sia questo il loro vero piano”, ha aggiunto l’operatrice umanitaria citata dalla BBC.
Ci pensano gli Emirati a tendere una mano ad al-Sisi
La crisi finanziaria e l’inflazione continuano a colpire la crescita economica del Cairo. Ma l’Egitto ha ricevuto di recente la prima parte della linea di credito di 35 milioni di dollari promessi dagli Emirati Arabi Uniti.
Al-Sisi si è subito affrettato a confermare che si tratta del sostegno “chiaro” che viene dai paesi del Golfo. In questo modo, la Banca centrale egiziana potrà procedere alla svalutazione della lira, la quarta dal 2022.
Questo passaggio – destinato a far piombare ulteriormente nella povertà la popolazione – potrebbe però sbloccare 3 miliardi della seconda tranche da 12 miliardi, promessa dal Fondo monetario internazionale.
Si tratta di uno dei piani di investimenti più ampi mai realizzati nella storia egiziana, vicini all’intero ammontare delle riserve internazionali interne nette, ha confermato il primo ministro Mostafa Madbouly. Abu Dhabi ha piani di investimenti per 24 miliardi di dollari nella zona costiera speciale di Ras el-Hekma e altri 11 in progetti di costruzioni immobiliari nel paese.
Se da un lato i colloqui per un cessate il fuoco appaiono ancora una volta in salita – anche per la posizione poco credibile del Cairo, completamente ripiegata sulle posizioni israeliane nel conflitto in corso -, dall’altro è partito in Egitto il business milionario per permettere a poche famiglie di privilegiati di lasciare Gaza.
Questo mentre la crisi economica fa sentire sempre di più la sua morsa per gli egiziani, spingendo i paesi del Golfo ad investimenti senza precedenti nel paese nordafricano.