Egitto: gli USA ripristinano gli aiuti militari al Cairo - Nigrizia
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Cambiamento significativo nella politica estera americana. Ma la repressione di al-Sisi continua
Egitto: gli USA ripristinano gli aiuti militari al Cairo
Come riconoscimento per il ruolo egiziano nella mediazione tra Hamas e Israele per la prima volta da anni Washington sblocca 1,3 miliardi di dollari in aiuti militari al Cairo. In barba alle politiche restrittive fin qui mantenute dagli Stati Uniti per esigere il rispetto dei diritti umani nel paese. Ma le trattative restano in salita anche per le posizioni filo israeliane dei due stati
16 Settembre 2024
Articolo di Giuseppe Acconcia
Tempo di lettura 6 minuti
Il segretario di stato americano Antony Blinken con il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi (Credit: presidenza egiziana)

Per la prima volta durante la presidenza di Joe Biden, gli Stati Uniti invieranno al Cairo l’intero ammontare, pari a 1,3 miliardi di dollari, in aiuti militari all’Egitto. Si tratta di un vero e proprio riconoscimento del ruolo che ha assunto la diplomazia egiziana nei colloqui, fin qui fallimentari, per il negoziato nel conflitto in corso tra Hamas e Israele, iniziato il 7 ottobre 2023.

Perché Biden ha cambiato idea 

Questa decisione del Dipartimento di stato americano segna un cambiamento significativo nella politica estera di Washington verso il Cairo. All’inizio della sua presidenza Biden aveva promesso che non ci sarebbero stati sconti sulle violazioni dei diritti umani in Egitto.

E così nei tre anni precedenti, gli USA hanno sempre bloccato una parte degli aiuti promessi al presidente Abdel Fattah al-Sisi.

Tuttavia, la parte di aiuti condizionata al rispetto dei diritti umani in Egitto è andata gradualmente ridimensionandosi fino all’azzeramento di quest’anno. Già nel 2023 infatti gli Stati Uniti avevano annunciato il parziale ripristino degli aiuti militari all’Egitto per l’anno fiscale 2022.

In questo modo, 235 milioni di dollari degli annuali 1,3 miliardi che arrivano al Cairo erano stati condizionati al rispetto dei diritti. Di questi, 130 milioni erano già stati sospesi nel 2022, mentre nel 2023 non sono arrivati al Cairo 85 milioni di dollari.

La decisione di Washington nel 2024 dimostra la centralità che Biden ha riconosciuto al Cairo nel negoziato in corso in Egitto e in Qatar per arrivare a una tregua permanente a Gaza.

I colloqui in salita hanno lasciato in sospeso vari temi tra cui: la durata della fase preliminare che porti a una tregua permanente, come auspicato dagli Stati Uniti; il rilascio degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas e dei prigionieri politici palestinesi in Israele; l’incolumità del nuovo leader di Hamas, Yahya Sinwar, e il ritiro completo dell’esercito israeliano da Gaza, incluso il corridoio Philadelphi che separa la Striscia dall’Egitto.

L’Egitto non è un mediatore equidistante 

Se però l’accordo tra Israele e Hamas tarda ad arrivare è proprio per una presa di posizione non abbastanza assertiva da parte degli Stati Uniti nei confronti del premier israeliano Benjamin Netanyahu.

Quest’ultimo ha tutti gli interessi che il conflitto a Gaza vada avanti e si estenda ai paesi vicini, come il Libano.

Da una parte, le difficoltà in politica interna con ampie manifestazioni anti-governative, dall’altra, la volontà di sradicare il movimento che governa Gaza uccidendo anche il nuovo leader di Hamas Sinwar, stanno spingendo le autorità israeliane a proseguire con la guerra.

Inoltre, sia Washington che il Cairo hanno dimostrato di essere eccessivamente ripiegati su posizioni pro-israeliane nel conflitto in corso e così costituiscono parte del problema per cui non si riesce ad arrivare a una fine della guerra.

L’unico punto su cui il Cairo si è mostrato intransigente sin qui è la possibilità che il valico di Rafah venga aperto permanentemente e che migliaia di rifugiati palestinesi entrino nelle zone cuscinetto, già realizzate, al confine tra Sinai e Gaza.

Secondo molti analisti, questa eventualità potrebbe mettere in discussione la sicurezza egiziana con la possibilità che attacchi contro Israele, come quello del 7 ottobre 2023 o di minore intensità, partano direttamente dal territorio egiziano.

Questa possibilità ha messo in allerta al-Sisi che ha per questo sempre posto il suo veto a un’apertura permanente del valico, impedendo spesso anche ai feriti palestinesi di poter essere curati in territorio egiziano.

La chiusura del confine tra Striscia ed Egitto ha alimentato invece il business dell’accoglienza che ha spinto migliaia di palestinesi a cercare altre vie per ripararsi in Egitto negli ultimi mesi.

Continuano le violazioni dei diritti umani 

Come se non bastasse, nonostante il ripristino degli aiuti militari USA all’Egitto, proseguono le violazioni dei diritti umani al Cairo con torture, sparizioni forzate, migliaia di prigionieri politici, come Moneim Abul Fotuh e Alaa Abdel Fattah, che da anni marciscono nelle prigioni egiziane in pessime condizioni detentive.

E così alcuni parlamentari e think tank statunitensi per la difesa dei diritti umani avevano chiesto di aumentare la parte di aiuti USA condizionata al rispetto dei diritti.

Già lo scorso anno, come nel 2024, per spiegare la sua decisione di rirpistinare parte degli aiuti al Cairo, il segretario di stato Antony Blinken aveva applicato la clausola della “sicurezza nazionale” che ha di fatto messo da parte le preoccupazioni avanzate dal Dipartimento di stato in merito alla repressione che va avanti nel paese dopo il golpe militare del 2013.

Lo scorso anno, per motivare la sua scelta, Blinken aveva citato gli sforzi per una mediazione del cessate il fuoco in Sudan e l’impegno a mediare perché si tengano elezioni in Libia come giustificazioni valide per ripristinare gli aiuti al Cairo che erano stati parzialmente congelati già dall’amministrazione Obama.

Molto meno critico verso la leadership militare egiziana era stato invece l’ex presidente e candidato repubblicano alle elezioni del 2024, Donald Trump, che aveva definito al-Sisi il suo “dittatore preferito”.

Per certificare i presunti progressi nella difesa dei diritti umani al Cairo, quest’anno Blinken ha citato il rilascio di 950 prigionieri politici, la parziale revisione di politiche che hanno messo il bavaglio alla società civile, congelando i finanziamenti stranieri alle ong locali, insieme alle proposte di rivedere il diritto penale in tema di detenzione preventiva che in Egitto può durare per anni prima di arrivare a un processo.

Secondo vari think tank internazionali, alle ondate di rilasci di attivisti negli ultimi mesi hanno fatto seguito nuovi arresti sommari di oppositori politici, inclusi coloro che si sono mobilitati per protestare contro la guerra a Gaza. 

Al-Sisi nel suo terzo mandato presidenziale, dopo la rielezione senza rivali del 2023, sta tentando di ricostruire la sua immagine internazionale. Un primo aspetto centrale è stata la sua visita a Istanbul dello scorso 6 settembre che ha definitivamente cancellato le frizioni che sono andate avanti per anni con il suo omologo turco, Recep Tayyip Erdogan.

Il secondo obiettivo di al-Sisi è sempre stato il completo ripristino degli aiuti militari USA per mostrare la totale normalizzazione dei rapporti tra Stati Uniti e il Cairo, sullo sfondo del conflitto tra Israele e Hamas.

Eppure non ci sono segnali concreti che questo percorso di riabilitazione geopolitica includa un maggiore spazio per il pluralismo e per il dissenso nel regime militare del Cairo.

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