Che fine ha fatto il giornalista Dawit Isaak, in carcere in Eritrea dal 2001 – senza mai essere stato giudicato – semplicemente perché aveva scritto sul giornale indipendente Setit degli articoli che reclamavano riforme? È l’appello lanciato da due relatori delle Nazioni Unite incaricati di far luce sul caso e sottoscritto dal Gruppo di lavoro sulle sparizioni forzate.
Nel comunicato si chiede al regime di Isaias Afwerki «l’immediata scarcerazione» del giornalista con la doppia nazionalità, svedese ed eritrea, e comunque che siano presentate le prove che sia vivo e in buona salute.
Affermano i relatori Onu che Dawit Isaak, rifugiato in Svezia nel 1987 mentre era in atto la guerra contro l’Etiopia, ritornato in Eritrea nel 2001 e arrestato nel settembre di quell’anno, dovrebbe trovarsi nella prigione di Eiraeiro. Una prigione riservata agli oppositori del regime e della quale non è certa nemmeno l’ubicazione (secondo alcune fonti è vicino al villaggio di Gahtelay, nella regione del Mar Rosso settentrionale; secondo altre è a poche chilometri dalla capitale Asmara), ma che è nota per le pratiche di tortura e per le pessime condizioni di detenzione.
«Nei primi anni della sua detenzione si sono avute informazioni secondo le quali il giornalista era spesso ricoverato in ospedale. E questo era preoccupante. Ma ora non arriva nessuna notizia e ciò è anche peggio», rimarca il comunicato Onu.
Il caso di Isaak è noto alla comunità internazionale, ma il regime-gulag del presidente Afwerki, impegnato nella guerra in Etiopia, non reagisce in nessun modo. E il paese si merita il podio, dopo Corea del Nord e Turkmenistan, nella classifica della minore libertà di stampa stilata da Reporters sans frontières e in quella del Comitato per la protezione dei giornalisti.
Anche Amnesty International si batte da anni per la liberazione senza condizioni di Dawit Isaak che considera un prigioniero di coscienza.