Etiopia: 500.000 donne da inviare in Arabia Saudita come lavoratrici
Economia Migrazioni Pace e Diritti Politica e Società
Avviato a inizio aprile il piano di reclutamento del governo
Etiopia: 500.000 donne da inviare in Arabia Saudita come lavoratrici
18 Aprile 2023
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 3 minuti
(Credit: Amnesty International)

Documenti ottenuti da Al Jazeera rivelano un piano di reclutamento del governo dell’Etiopia che parla di mezzo milione di donne in età compresa tra 18 e 40 anni, da inviare in Arabia Saudita come lavoratrici domestiche.

All’inizio di marzo, informazioni al riguardo cominciarono a comparire su Facebook e su cartelloni pubblicitari nelle città etiopiche. In essi si incoraggiavano le giovani donne a registrarsi presso gli uffici governativi per trovare lavoro in Arabia Saudita.

Il piano di Addis Abeba è stato avviato a inizio aprile con i primi viaggi in Arabia, nonostante numerosi rapporti di organizzazioni umanitarie che hanno denunciato il ritorno forzato di centinaia di cittadini e cittadine etiopici che hanno subito abusi fisici e sessuali da parte dei loro datori di lavoro e delle autorità saudite.

«Ci viene detto che questa è un’opportunità di vita migliore», afferma una recluta della regione Amhara, che ha partecipato a una sessione di orientamento alla vita in Arabia. Un’altra ha aggiunto: «Mi è stato detto che questo era un percorso più rapido verso il successo nella vita e nella scuola».

All’inizio del 2020, l’Arabia Saudita aveva temporaneamente vietato la migrazione di lavoratori e lavoratrici dall’Etiopia per frenare la diffusione della pandemia del Covid-19. Ma anche per le pressioni di organizzazioni per i diritti umani che denunciavano le terribili condizioni dei migranti nei paesi del Golfo. Il divieto è stato revocato lo scorso febbraio e le autorità etiopiche hanno lanciato la loro iniziativa.

«In ragione dei forti legami diplomatici del nostro paese con l’Arabia Saudita, sono state rese disponibili opportunità di lavoro per 500mila etiopiche, tra cui 150mila dalla regione Amhara», ha dichiarato Tsehaye Bogale, un funzionario delle comunicazioni nell’amministrazione dello Stato-regione Amhara.

Nell’ambito del programma, le donne vengono trasportate con voli pagati dal governo. In Arabia Saudita – secondo quanto dichiarato dalle autorità – i lavoratori migranti possono guadagnare 1.000 Riyal mensili (circa 266 dollari), cioè molto di più rispetto alla paga offerta in Etiopia, dove il prodotto interno lordo annuale pro capite (Pil) nel 2021 era di 925 dollari.

Funzionari governativi giustificano l’iniziativa ritenendola finalizzata anche a salvare vite umane. Sottolineano a tale riguardo i rischi che molti etiopici affrontano in pericolosi viaggi lungo i corridoi delle migrazioni attraverso Yemen e Gibuti.

«Il nostro ministero sta lavorando per garantire che gli etiopici possano migrare per lavoro senza rischiare la vita, e con stipendi e benessere garantiti», ha spiegato il mese scorso Amsalu Basha, un funzionario del ministero del lavoro.

Ha chiarito, peraltro, che la richiesta di invio dell’alto numero di lavoratori è stata inoltrata dal governo saudita.

Nel 2020, tuttavia, il parlamento dell’Unione Europea aveva approvato una risoluzione che condannava l’Arabia Saudita dopo le notizie della tortura e della morte di etiopici in custodia saudita.

«L’Arabia Saudita per anni ha arrestato e detenuto arbitrariamente migliaia di migranti etiopici in condizioni spaventose, incluse torture, picchiaggi a morte e condizioni degradanti, deportandone a migliaia», ha dichiarato Nadia Hardman, ricercatrice presso la Divisione dei diritti dei rifugiati e dei migranti di Human Rights Watch.

Un altro attivista ha espresso grave preoccupazione per il destino delle donne: «Le giovani vulnerabili in Etiopia vengono ingannate e vendute offrendo loro sogni che metteranno a rischio la loro vita.

Sfortunatamente, il presunto guadagno economico da parte del governo è prioritario rispetto alla salvaguardia della sicurezza delle donne e alla difesa dei loro diritti».

Copyright © Nigrizia - Per la riproduzione integrale o parziale di questo articolo contattare previamente la redazione: redazione@nigrizia.it