Il recente bombardamento che nel nord-ovest del Tigray, nella città di Dedebit, ha provocato 56 vittime e decine di feriti in un campo di sfollati, quello successivo, il 10 gennaio nella città di Mai Tsebri, che ha ucciso almeno 17 persone, per lo più donne, e ne ha ferite dozzine, e i nuovi attacchi perpetrati nell’area intorno alla città di Sheraro da parte di contingenti eritrei, hanno cancellato d’un tratto le speranze che sia avviato un processo di distensione nel conflitto divampato nel novembre 2020.
Dopo il ritiro nel Tigray delle Tdf (Forze di difesa del Tigray) dalle regioni occupate, la comunità internazionale aveva sperato in un cessate il fuoco, in seguito alle dichiarazioni del governo di Addis Abeba che l’esercito non avrebbe proseguito nelle proprie operazioni militari.
Impressiona tuttavia il fatto che l’azione militare del bombardamento sia avvenuta nella notte del natale ortodosso etiopico, dopo solo qualche ora dalla liberazione di vari leader politici tigrini e dalla dichiarazione del governo di Addis Abeba e del primo ministro Abiy Ahmed di essere pronti ad avviare un dialogo di “riconciliazione nazionale”.
Ad esso – secondo le dichiarazioni del premier, dovrebbero partecipare tutte le entità presenti nel paese, escludendo tuttavia i contendenti nel conflitto, cioè il Tplf (Fronte popolare di liberazione del Tigray) e il Ola (Esercito di liberazione oromo). È purtroppo prevedibile che un dialogo che venga avviato senza aver prima di tutto fatto tacere le armi attraverso un credibile cessate il fuoco e un processo che non sia inclusivo sia dei gruppi favorevoli al governo sia degli avversari nella guerra, avrà molto scarse possibilità di successo.
Quanto all’Eritrea, il presidente Isaias Afwerki ha dichiarato che lo scopo dell’azione delle sue truppe era di prevenire ogni attacco contro l’Eritrea, come pure di aiutare l’Etiopia a rimanere unita. Il portavoce del Tplf, Getachew Reda, d’altro lato, ha dichiarato che l’intento reale di Asmara, è di sabotare ogni tentativo di avviare trattative per la pace. Getachew Reda ha inoltre reiterato l’accusa che il regime di Abiy Ahmed – che ha definito il Tplf un’organizzazione terroristica – non dimostra rispetto alcuno per la legge internazionale e contravviene alla basilare dignità umana.
Il portavoce tigrino ha inoltre ribadito il fatto che «Centinaia di migliaia di tigrini sono stati forzatamente sloggiati dalle proprie case nell’area occidentale della regione, oltre 70 mila hanno dovuto cercare rifugio in Sudan e migliaia sono stati uccisi impunemente, mentre altre migliaia di persone sono internate in campi di raccolta in condizioni degradanti e disumane».
Al momento vi sono in Etiopia oltre 10 milioni di persone bisognose di assistenza alimentare e oltre 2 milioni di sfollati interni, non solo in Tigray ma anche nelle regioni di Amhara e Afar. L’Ocha (Ufficio di coordinamento delle attività umanitarie delle Nazioni Unite) ha affermato peraltro che l’assenza di scorte medicinali e di carburante ha reso molto difficile rispondere all’emergenza dei feriti e sta portando al totale collasso del sistema sanitario in Tigray.
Il perdurare del blocco che impedisce l’approvvigionamento di cibo per i 6 milioni di abitanti del Tigray – denunciano le Nazioni Unite – ha portato centinaia di migliaia di persone alla fame. E i medici del Ayder Referral Hospital in Tigray di recente hanno dichiarato che molti pazienti, inclusi un grande numero di bambini, morivano inutilmente a causa del blocco nel rifornimento di medicinali.
Se da un lato c’è da sperare, quindi, che le operazioni militari vadano riducendosi in favore di un processo di pacificazione, e che si possa avviare un percorso di dialogo e di riconciliazione, le condizioni di perdurante instabilità, le conseguenze delle estreme violenze verificatesi da tutte le parti in guerra, la perdurante crisi alimentare con il blocco degli aiuti umanitari e il generale sgretolamento del tessuto sociale, rendono del tutto imprevedibile esprimere un giudizio oggettivo circa il futuro dell’Etiopia, nell’immediato e nel lungo termine.