Il ministero degli esteri etiopico ha presentato formale richiesta di entrare a far parte dei paesi BRICS, unendosi così ad Algeria, Bangladesh ed Egitto che già hanno presentato richieste formali per aderire al gruppo.
Il portavoce del ministero, Meles Alem, ha dichiarato che il governo si attende che la richiesta venga soddisfatta.
L’Etiopia è al secondo posto come numero di abitanti nel continente, sul piano economico, tuttavia, occupa il 59° posto nel mondo, secondo i dati del Fondo monetario internazionale, e la sua condizione economica raggiunge appena la metà di quella del Sudafrica, il più piccolo degli stati che formano i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica).
Cinque paesi che insieme rappresentano oltre il 40% della popolazione mondiale e circa il 26% dell’economia globale.
Il prossimo vertice BRICS, dal 22 al 24 agosto, si terrà come previsto a Johannesburg, come confermato ieri dal governo sudafricano, sotto pressione in questi mesi per il mandato d’arresto per crimini di guerra emesso contro Putin dalla Corte penale internazionale, che obbliga le autorità di Pretoria ad arrestare il leader russo.
In un secondo sviluppo, il governo statunitense ha informato il Congresso che da parte sua non ritiene più che l’Etiopia stia continuando la politica di grave violazione dei diritti umani di cui era stata accusata durante la guerra con lo stato-regione del Tigray.
L’abbandono di tali accuse, secondo una notifica del dipartimento Usa per gli aiuti economici al paese, apre la strada alla possibilità per Addis Abeba di ottenere nuovamente tali aiuti.
Una mossa, secondo gli analisti, operata da Washington per rilanciare le proprie relazioni con l’Etiopia, tra i paesi con la più ampia economia nel Corno d’Africa.
In realtà le accuse di flagrante violazione dei diritti umani basilari, specie in Tigray, viene tuttora avanzata da molte organizzazioni e gruppi religiosi della regione confinante con l’Eritrea.
Tra l’altro la decisione assunta dal governo Biden avviene mentre resta vivo lo scandalo emerso di recente, cioè – come denunciato dall’Agenzia internazionale statunitense per lo sviluppo – di “ruberie diffuse e coordinate” degli aiuti alimentari destinati alle popolazioni affamate del Tigray, in cui sono stati implicati sia membri del governo federale che delle autorità regionali.
All’inizio di maggio lo scandalo aveva provocato l’immediato blocco di tutti gli aiuti alimentari da parte delle organizzazioni umanitarie delle Nazioni Unite e di altri donatori.
Il governo di Abiy Ahmed si è impegnato ad aprire un’inchiesta in merito alle avvenute ruberie.
In proposito va fortemente denunciato che – anche per questo motivo – nella regione settentrionale la crisi alimentare ha già condotto alla morte per fame centinaia di persone, per lo più donne e bambini, e – se proseguisse il blocco degli aiuti – si andrebbe verso un’autentica catastrofe umanitaria annunciata.