Nel 2020 la procura di Palermo aveva emesso una serie di mandati d’arresto internazionali contro presunti trafficanti di esseri umani. Tra questi Temesghen Ghebru Ghebremedhin, detto Temmy o Tenny, 35 anni, eritreo, considerato un membro chiave di una vasta organizzazione transnazionale dedita alla tratta di migranti dall’Africa all’Europa.
Dopo due anni di latitanza l’uomo è stato arrestato all’aeroporto di Addis Abeba, in Etiopia, mentre cercava di imbarcarsi su un volo diretto ad Adelaide, in Australia, dove operano altri membri del suo cartello, ed estradato oggi in Italia, dove dovrà rispondere di associazione a delinquere finalizzata alla tratta di esseri umani e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Temesghen Ghebru Ghebremedhin è ritenuto uno dei vertici di un’organizzazione transnazionale operante tra paesi dell’Africa orientale – in particolare Etiopia, Eritrea e Sudan – del Nordafrica (Libia), e dell’Europa (Italia, Inghilterra, Danimarca, Olanda, Belgio e Germania). Secondo gli inquirenti organizzava la rotta terreste dei migranti dai paesi suhsahariani verso la Libia, e da lì alle coste del Mediterraneo settentrionale, con meta finale il Nord Europa.
Il suo arresto è stato salutato come un importante successo nella lotta alla tratta di esseri umani, realizzato grazie alla collaborazione tra diverse agenzie internazionali, tra cui l’Europol e l’Interpol – che lo aveva inserito ne suo elenco dei latitanti “con avviso rosso” -, la Corte penale internazionale, il Servizio italiano per la cooperazione internazionale di polizia e le autorità giudiziarie e di polizia inglesi e olandesi.
Il suo arresto riporta alla memoria un altro caso giudiziario che aveva visto l’estradizione in Italia di un eritreo considerato ai vertici di una vasta organizzazione di trafficanti. Un caso partito anch’esso dalla procura di Palermo, ma che fece discutere per un grossolano errore di indentità. L’uomo, Medhanie Tesfamariam Behre, arrestato in Sudan ed estradato in Italia, fu liberato nel luglio 2019, dopo aver trascorso tre anni in carcere, quando un tribunale riconobbe finalmente che l’accusato non era il vero ricercato, un suo concittadino conosciuto come “il generale”.