Un accordo di pace vero e proprio non è stato ancora firmato ma il 2 novembre, dopo 10 giorni di trattative iniziate il 25 ottobre in Sudafrica, il governo etiopico e le forze ribelli della regione del Tigray (Fronte di liberazione del popolo del Tigray – Tplf) hanno concordato di cessare le ostilità.
Il capo della troika di mediazione dell’Unione Africana, l’alto rappresentante per il Corno d’Africa Olusegun Obasanjo – gli altri sono l’ex presidente kenyano Uhuru Kenyatta e l’ex vicepresidente sudafricano Phumzile Mlambo-Ngcuka -, ha annunciato la firma di un accordo sulla «cessazione permanente delle ostilità e il disarmo sistematico, ordinato, regolare e coordinato» delle milizie tigrine.
L’ex presidente nigeriano ha affermato che l’accordo include anche «il ripristino dell’ordine pubblico e dei servizi pubblici, l’accesso senza ostacoli alle forniture umanitarie, la protezione dei civili».
La breve dichiarazione congiunta delle parti in conflitto parla di “un programma dettagliato di disarmo” e “ripristino dell’ordine costituzionale” nel Tigray, con entrambe le parti che accettano di “mettere a tacere permanentemente le armi” e “fermare ogni forma di conflitto e propaganda ostile“, invitando gli etiopici all’interno del paese e all’estero a sostenere gli sforzi per una pace duratura. “Gli studenti devono andare a scuola, gli agricoltori e i pastori nei loro campi e i dipendenti pubblici nei loro uffici”, si legge nella dichiarazione.
Le parti si sono inoltre impegnate a consentire l’accesso illimitato alle organizzazioni di soccorso umanitario. Manca però una data o un termine che indichi chiaramente a partire da quando e come concretamente avverrà tutto questo. Non a caso il capo degli affari esteri dell’Unione europea, Joseph Borrell, ha esortato a una «rapida attuazione dell’accordo».
Sull’esito concreto di questo importante intesa pesa tra l’altro il ruolo dell’Eritrea, il cui esercito è pesantemente schierato al fianco di Addis Abeba fin dall’inizio della guerra civile, due anni fa. Asmara, infatti, non era rappresentata ai colloqui di pace e le parti in guerra non hanno affrontato direttamente l’argomento del ritiro delle truppe eritree nella dichiarazione rilasciata.
Questo, probabilmente, è uno dei motivi del cauto ottimismo con cui ha reagito la comunità internazionale alla notizia dell’accordo raggiunto.
La situazione, intanto, nel Tigray, resta disastrosa. Le comunicazioni, i trasporti e i collegamenti bancari per oltre 5 milioni di persone sono stati interrotti dallo scoppio della guerra, così come l’accesso a Internet e alle comunicazioni telefoniche mobili e fisse. La regione è stata, insomma, sottoposta a un blackout imposto dal governo che rende difficile valutare l’entità dell’impatto della guerra.
Le Nazioni Unite parlano di migliaia di vittime, con circa 3,5 milioni di sfollati interni solo quest’anno, e una crisi alimentare e sanitaria aggravata dal blocco degli aiuti internazionali alla popolazione.