Etiopia: ripresi i combattimenti nel Tigray - Nigrizia
Conflitti e Terrorismo Etiopia
Violata la tregua concordata cinque mesi fa tra governo e Tplf
Etiopia: ripresi i combattimenti nel Tigray
Come sempre discordanti le versioni delle due parti che si accusano a vicenda di aver violato il cessate il fuoco, imposto a marzo per soccorrere la popolazione stremata dopo quasi due anni di guerra e sondare la possibilità di avviare trattative di pace
25 Agosto 2022
Articolo di Michela Trevisan
Tempo di lettura 3 minuti

Sono definitivamente naufragate le speranze di una trattativa di pace tra la guerriglia del Fronte di liberazione del popolo del Tigray (Tplf) e il governo centrale. Ieri sono ripresi i combattimenti nella regione del Tigray, attorno alla città di Kobo. E ancora una volta ciascuna delle parti ha incolpato l’altra per la rottura del cessate il fuoco, dichiarato alla fine di marzo.

Il servizio di comunicazione del governo ha annunciato che in mattinata il Tplf ha “attaccato” sul fronte orientale. Il comando militare delle forze del Tigray, a sua volta, ha affermato di ritenere che l’attacco vicino a Kobo fosse un diversivo e che le sue forze si aspettano un grande attacco da ovest.

La cosa era nell’aria da giorni. Tre residenti nell’area di Kobo hanno riferito all’agenzia Reuters che negli ultimi due giorni c’erano stati movimenti di soldati etiopici, forze speciali Amhara e milizie Fano.

Il 23 agosto, mentre i social media diffondevano notizie di truppe governative in movimento, i militari etiopici accusavano le forze tigrine di prepararsi ad attaccare e coprire le loro tracce diffondendo notizie false sui movimenti militari.

La possibile ripresa del conflitto, che rischia di essere anche più devastante di quello iniziato il 4 novembre 2020, era stata ventilata di recente anche dal leader del Tplf, Debretsion Gebremichael, che in una dichiarazione alla comunità internazionale aveva affermato che «Il processo di pace è impostato per fallire».

Gebremichael è stato anche più esplicito in una conferenza, il 15 agosto, quando ha dichiarato che «il Tigray sarà solo per coloro che sono armati e combattono». E che non avranno posto nella regione «coloro che sono capaci di combattere ma non vogliono farlo».

La prospettiva di un dialogo di pace, d’altronde, si era arenata ancor prima della partenza. Troppo distanti, inconciliabili e irremovibili le posizioni dei contendenti, a partire dalla scelta del mediatore.

Caduti come sempre nel vuoto gli appelli del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, e del presidente della Commissione dell’Unione africana, Moussa Faki Mahamat, a un’immediata cessazione delle ostilità.

Intanto, ci sono versioni opposte anche sull’annuncio del ministero della difesa etiopico di aver abbattuto un velivolo proveniente dallo spazio aereo del Sudan e diretto in Tigray con un carico di armi per il Tplf.

«È una palese bugia» ha detto Getachew Reda, consigliere del leader tigrino, descrivendo il governo federale come dei «pagliacci».

Sulla vicenda dell’aereo abbattuto, per ora tacciono le autorità sudanesi. Fonti militari hanno affermato, riferisce il quotidiano Sudan Tribune, che il governo sta indagando sulle affermazioni etiopiche prima di rilasciare una dichiarazione.

La ripresa del conflitto e la possibilità di un coinvolgimento del Sudan avrà ripercussioni negative anche sulle trattative che Khartoum e Addis Abeba si preparavano ad avviare, con la mediazione del Sud Sudan, per risolvere pacificamente la disputa sul confine nell’area di Al-Fashaga.

Ma soprattutto avrà conseguenze devastanti sulla popolazione, prostrata da quasi due anni di feroce conflitto, giocato anche sul completo isolamento della regione. Una regione da tempo senza più servizi sanitari di base, scuole, farmaci, generi alimentari e carburante, dove la popolazione ha subito violenze fisiche e psicologiche inimmaginabili. Due milioni gli sfollati con il 90% della gente che ha bisogno di aiuti alimentari. 

Ѐ solo di pochi giorni fa l’appello lanciato da Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), di origini tigrine, che riferendosi alla crisi alimentare ha parlato della «più grande catastrofe ad opera dell’uomo» e del «maggior disastro oggi sulla terra».

 

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