‘L’immigrazione non è un problema, ma una necessità alla quale si accompagnano alcuni problemi’. Sono queste le parole con cui il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez ha chiosato la firma del memorandum d’intesa con la Mauritania alla fine di agosto scorso. Una posizione lucida e lungimirante, che lo vede però abbastanza isolato nel quadro europeo.
Nelle ultime settimane infatti ha fatto molto discutere la sua visita a tre nazioni africane, Mauritania, Gambia e Senegal, con le quali c’è la volontà di instaurare una collaborazione diretta per una gestione condivisa dei flussi migratori. L’obiettivo non è fermare gli arrivi, quindi, ma solo cambiare il percorso. Non più via mare, ma via aereo, dopo un periodo di formazione nel paese d’origine.
L’iniziativa di Sanchez è la risposta ad un incremento consistente degli arrivi nell’arco dell’ultimo anno, soprattutto attraverso la rotta delle Canarie, che è sta diventando, tra l’altro, sempre più mortale. Dai 18.745 arrivi totali in Spagna nel 2023 si è passati a 31.155 fino al 15 agosto scorso (+66%). Ma il problema, come ha ricordato Sanchez, non sta in chi arriva ma in come ci arriva e questo è un fattore che dipende soprattutto dai governi.
E così, si inizia a coltivare la cosiddetta ‘migrazione circolare’, alla quale sta pensando, da qualche mese, anche l’Italia. Nel nostro caso, la faccenda è stata però delegata alla Comunità di Sant’Egidio, con la quale il governo ha firmato un accordo lo scorso aprile.
L’intesa, della durata di un anno, riguarda un progetto pilota che coinvolge circa 300 persone da far arrivare in Italia in sinergia con le necessità delle imprese locali, un progetto che si inserisce all’interno del Decreto Flussi, finora abbastanza fallimentare, cercando però di renderlo più efficiente da ambo le parti. Gli arrivi si concentrano per ora in tre regioni, Veneto, Lazio e Calabria.
Non mancano le critiche anche a questo approccio, soprattutto per quanto riguarda le professioni alle quali i paesi europei vorrebbero attingere, come quelle sanitarie. Un tasto dolente per il continente africano e per l’Europa, che da anni viene accusata di saccheggiare il personale medico da una regione che già ne ha ben poco.
Ma mentre la notizia del tour di Sanchez attraverso l’Africa occidentale continua a fare il giro dei media, fanno discutere e preoccupano anche le posizioni di altri paesi europei che inaspriscono sempre di più le loro risposte al fenomeno migratorio.
È il caso della Germania, che ha annunciato da lunedì 16 settembre la sospensione di Schengen per almeno sei mesi, con il ripristino di un controllo capillare alle frontiere in ottica, come è stato dichiarato, di antiterrorismo.
La spinta in questa direzione è stata data dall’attentato del 29 agosto scorso nella città di Solingen, quando un uomo armato di coltello ha ucciso tre persone e ferite altre otto. Ma il clima anti-immigrazione, in realtà, in suolo tedesco sta crescendo da tempo.
Nonostante la stessa Germania abbia aperto agli ingressi di lavoratori qualificati, ha dichiarato di voler usare il pugno di ferro contro qualunque forma di ingresso irregolare, che punta a contrastare attraverso anche attraverso rimpatri ed espulsioni di massa.
Questa posizione mette in allerta anche l’Italia, per quanto vi si trovi allineata, dal momento che la Germania vorrebbe rispedire nel nostro paese 20mila persone definite ‘dublinanti’, e cioè che secondo l’accordo di Dublino dovrebbero restare in Italia poiché paese di primo approdo.
Un assetto che lo stesso governo italiano aveva definito con orgoglio superato, dopo il nuovo ‘accordo Fortezza’ sull’immigrazione approvato dal Parlamento Europeo lo scorso aprile, ma che in realtà rimane alla base delle politiche migratorie comunitarie. (AB)