Si è risolto – come prevedibile – in un sostanziale nulla di fatto l’incontro di una delegazione di leader africani, guidati dal sudafricano Cyril Ramaphosa, che il 16 e 17 giugno si sono recati a Kiev e San Pietroburgo.
Della delegazione facevano parte l’attuale responsabile dell’Unione Africana Azali Assoumani, presidente delle isole Comore, Macky Sall (Senegal), Hakainde Hichilema (Zambia) e delegati di Uganda, Rd Congo ed Egitto.
Da scaltro diplomatico qual è Putin aveva aperto l’incontro affermando: «Siamo aperti a un dialogo costruttivo con chiunque voglia ristabilire la pace, basata su principi di giustizia e tenendo conto dei legittimi interessi».
Ramaphosa, dal canto suo, aveva con coraggio replicato: «Questa guerra deve finire… Deve essere risolta attraverso negoziati e mezzi diplomatici. Questa guerra sta avendo un impatto negativo sul continente africano e su molti altri paesi del mondo».
Il giorno prima, Zelensky, in risposta alla proposta di un piano in dieci punti formulato dalla Brazzaville Foundation e dal suo presidente, l’uomo d’affari francese Jean-Yves Ollivier, aveva liquidato la delegazione ribadendo che la sua precondizione per una trattativa è il ritiro di Mosca da tutti i territori ucraìni occupati militarmente, inclusa la Crimea.
Condizione che, come noto, la Russia da sempre respinge.
Inevitabile quindi la reazione di Putin che, di fronte al fatto che il primo dei dieci punti del piano riguardava esattamente il ritiro dai territori occupati, aveva interrotto senza mezzi termini l’intervento dei delegati africani, propinandogli una lunga lezione sulle motivazioni storiche e politiche alla base di quella che tuttora viene da lui definita non una guerra, ma una semplice ‘operazione militare speciale’.
Tra l’altro, Putin ha ribadito ai leader africani che, in merito all’invio di aiuti alimentari e fertilizzanti, e al timore che venga bloccato da Mosca il loro flusso dai porti sul Mar Nero, i paesi occidentali sono l’unico vero responsabile per il grave aumento dei prezzi dei cereali che ha colpito l’Africa in modo massiccio.
E questo perché solo il 3% delle esportazioni è giunto in Africa, mentre la grandissima parte è finita nei paesi europei e occidentali.
Quanto ai possibili negoziati, il presidente russo ha sostenuto che il suo paese non ha mai rifiutato i colloqui con la parte ucraìna, come invece ha fatto Kiev.
D’altro lato, Mosca durante il conflitto ha ripetutamente affermato che qualsiasi pace deve consentire “nuove realtà”, cioè la necessità che vengano riconosciute le quattro provincie dell’Ucraìna che, seppur ancor parzialmente, ha conquistato.
Va infine sottolineato, in merito a Ramaphosa, che in agosto dovrebbe tenersi in Sudafrica il vertice dei paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), a cui dovrebbe presenziare anche Putin.
Una posizione imbarazzante, quella del governo sudafricano, dato che, come membro della Corte penale internazionale, avrebbe il dovere di far arrestare il presidente russo, vista l’incriminazione e l’ordine di cattura emessi a marzo nei suoi confronti dal tribunale dell’Aja per accuse di crimini di guerra.