Quest’anno in Africa l’anno si chiude con due importanti tornate elettorali. In Ghana si è votato il 7 dicembre per eleggere il nuovo presidente e rinnovare l’assemblea parlamentare. Il 29 dicembre si voterà invece in Ciad.
Un appuntamento molto atteso considerato che dalla morte dell’ex presidente Idriss Déby nel 2021, il potere legislativo è nelle mani del Consiglio nazionale di transizione.
Dopo la conferma di Deby figlio alla presidenza lo scorso maggio, il paese si prepara ora ad eleggere 188 deputati per formare una nuova Assemblea nazionale, i cui rappresentanti saranno chiamati a svolgere un ruolo decisivo per il futuro del Ciad. Ma che peso hanno le donne nel plasmare le legislazioni dei loro paesi?
Le elezioni in Ghana hanno confermato la difficoltà per queste ultime di entrare nelle liste elettorali e più ancora di farsi eleggere. Su un totale di 276 deputati sono state elette solo 41 donne, 32 per il National Democratic Congress che ha vinto le elezioni e 9 per il New Patriotic Party, il partito conservatore.
La percentuale delle donne nel parlamento ghanese era dell’8% nel 1992 (anno in cui è entrata in vigore la nuova Costituzione), oggi è quasi raddoppiata, passando al 14,8% ma è la stessa legge elettorale a non consentire passi in avanti sostanziali.
Il sistema elettorale del Ghana, a collegio uninominale, è anche conosciuto dagli studiosi come “ostile alle donne” (e alle quote di genere) in quanto sistemi elettorali centrati sul candidato sono più impegnativi per le candidate donne.
Prospettive sul voto in Ciad
Dovremo aspettare per conoscere i risultati del voto in Ciad. La nuova Costituzione incoraggia la partecipazione femminile alle assemblee elette e alle istituzioni pubbliche, imponendo ai partiti politici di avere almeno il 30% di candidate donne nelle loro liste.
Nonostante le disposizioni legali, vari vincoli – siano essi strutturali, finanziari o culturali – ridurranno però significativamente le prospettive di rappresentanza femminile nella prossima Assemblea nazionale.
Anche se è probabile che tale rappresentanza supererà il 5,8% e addirittura il 15,3% registrato rispettivamente nelle legislature 2002-2006/2011 e 2011-2015/2021. Gli analisti stimano che le donne potrebbero ottenere dai 32 ai 45 seggi su 188, ovvero dal 17% al 24% circa del totale dei membri dell’Assemblea.
Piccole conquiste tra alti e bassi
In ogni caso non si può dire che le cose non stiano cambiando, seppure assai lentamente e con differenze significative da paese a paese. Oggi la rappresentanza delle donne nei parlamenti africani è pari al 26% come rilevato dallo studio Women in Political Participation – Africa Barometer. Era del 25% nel 2021.
È stato anche riscontrato che, mentre la rappresentanza delle donne nelle posizioni esecutive più elevate nei governi è aumentata, la loro presenza nei governi locali in tutta l’Africa è diminuita.
In Africa orientale, ad esempio, la rappresentanza delle donne nei governi locali è diminuita dell’11%, insieme a un aumento del 16% delle donne che ricoprono posizioni dirigenziali di alto livello.
In Africa subsahariana l’aumento più alto al mondo
Fatto sta che il quadro africano si presenta addirittura migliore se confrontato a livello globale. E soprattutto, i numeri rivelano che l’Africa subsahariana è per molti aspetti più avanti su questo fronte rispetto ad altre aree del mondo.
Secondo i dati dell’Unione interparlamentare (IPU) nel 2023 a livello globale si era registrata una crescita di un misero 0,4% rispetto all’anno precedente, con una percentuale di donne nelle camere elettorali aumentata fino al 26,9%.
In contrasto, nell’Africa subsahariana, nello stresso anno nelle elezioni parlamentari in 13 paesi una media del 19,1% degli eletti sono state donne, un aumento di 3,9 punti percentuali rispetto alla rappresentanza femminile nei precedenti rinnovi per le stesse camere.
Si è trattato dell’aumento più alto registrato in tutte le regioni del mondo nel 2023.
All’inizio del 2024, la percentuale di donne nei parlamenti dell’Africa subsahariana era del 27,3%, un aumento di 0,8 punti percentuali rispetto a 12 mesi prima e il terzo più alto tra tutte le regioni del mondo.
Rwanda in testa alla classifica
Solo sei paesi hanno più o almeno il 50% di donne nelle camere del parlamento: Rwanda, Cuba, Nicaragua, Andorra, Messico, Nuova Zelanda ed Emirati Arabi Uniti.
Quest’anno è stato ancora il Rwanda – come accade da molti anni a questa parte – a guidare la classifica mondiale delle donne parlamentari: che rappresentano il 61,3% dei seggi alla Camera bassa e il 34,6% alla Camera alta.
Nei seguenti tre posti in cima alla lista ci sono Cuba e Nicaragua con il 55,7% e il 53,9%, rispettivamente. Troviamo poi paesi africani all’undicesimo posto, il Senegal, e al tredicesimo il Sudafrica.
L’Italia è al cinquantasettesimo posto con il 32.3% di deputate e 36.2% di senatrici. Dopo Namibia, Mozambico, Etiopia, Capo Verde, Angola, Burundi, Camerun, Uganda, Sud Sudan, solo per citare i paesi africani.
Tra passi avanti e scivolate
Dunque, seppure ci sia ancora molto da fare per raggiungere livelli di equità in termini di rappresentanza femminile nei parlamenti, gli indicatori mettono in evidenza una serie di progressi con alcune differenze.
Se in Benin e Sierra Leone si sono registrati incrementi rispettivamente di 18,5 e 15,9 punti percentuali, le donne parlamentari sono diminuite in tre camere: Guinea-Bissau, Liberia (camera bassa) e Nigeria (camera alta, solo 3 donne ne fanno parte).
La Sierra Leone nel 2023, poco prima delle elezioni, aveva promulgato il Gender Equality and Women’s Empowerment Act, che ha introdotto una quota obbligatoria del 30% di candidate donne.
In Benin nelle ultime elezioni sono state elette al parlamento 28 donne su 109 membri, un record storico per il paese. Mentre, nei 13 paesi che hanno effettuato i rinnovi nel 2023, le percentuali più elevate di donne elette in parlamento sono state registrate nelle camere alte dello Zimbabwe (45%) e dell’Eswatini (43,3%).
Corse ad ostacoli
Gli ostacoli per le donne che vogliano fare politica e candidarsi sono molte. La mentalità patriarcale è uno di questi, che include una pervasiva “politica dell’insulto” che nei confronti delle candidate può essere davvero feroce e mettere a disagio anche la persona più pronta ad affrontare gli attacchi.
Inoltre, l’elevato costo finanziario (le donne generalmente hanno meno risorse rispetto agli uomini) è fattore di rinuncia ancor prima di cominciare. E non va dimenticata la violenza contro le donne in politica.
Le donne parlamentari e le candidate alle elezioni spesso devono affrontare ostilità e violenza sia all’interno del parlamento che in altri spazi politici e pubblici. Una violenza che può assumere molte forme, dai commenti misogini moltiplicati nell’epoca dei social, alle aggressioni e agli abusi sessuali.