Questo articolo è parte del dossier “Elezioni in Botswana. Una miniera di sorprese” uscito nel numero di Nigrizia di ottobre 2024.
I risultati delle prossime elezioni in Botswana, la cui data è stata annunciata all’inizio di settembre, potrebbero finire per attirare più attenzione di quanto non abbiano mai fatto tutte le tornate elettorali tenutesi finora in questo paese. In effetti, il voto che si terrà il 30 ottobre sarà il primo celebrato in un paese dell’Africa australe dopo le storiche elezioni che, nel maggio scorso, hanno sancito la fine del dominio assoluto dell’African National Congress (Anc) in Sudafrica e, secondo alcuni osservatori, potrebbero condurre a un esito simile.
Da Pretoria a Gaborone?
A prima vista, le analogie tra i due casi non mancano. Come in Sudafrica, un partito dominante al potere da decenni – il Botswana Democratic Party (Bdp), al potere ininterrottamente dal 1966 e vincitore delle elezioni del 2019 con il 53% dei voti – si troverà ad affrontare nelle urne le conseguenze di un calo di popolarità attestato dai sondaggi e dalle elezioni supplettive degli ultimi anni.
Anche in questo caso, il presidente uscente, Mokgweetsi Masisi, dovrà guardarsi dalla sfida portata da un ex presidente molto discusso, ma forte di un significativo seguito popolare, entrato in conflitto con il suo antico partito.
Come Jacob Zuma, “padre nobile” del Mk in Sudafrica, anche Ian Khama, figlio del primo presidente del paese Seretse Khama e capo dello stato tra il 2010 e il 2018, accusato di aver violato la legge sulla detenzione delle armi da fuoco e rientrato nel paese a metà settembre, non parteciperà direttamente alla competizione come candidato, ma la sua figura e il suo nome saranno il punto di riferimento di un partito personale, il Botswana Patriotic Front (Bpf), che fa appello agli elettori del partito al potere.
Anche qui, un’opposizione divisa tra diverse formazioni, alcune delle quali raccolte sotto la guida di Duma Boko, leader del Botswana National Front (Bnf) nell’Umbrella for Democratic Change (Udc), potrebbe riuscire a spingere il partito del presidente Masisi sotto la soglia della maggioranza assoluta, ma non sembra in grado di proporsi per guidare il paese da sola.
Se, per la prima volta dall’avvento della democrazia a suffragio universale, il Bdp non raggiungesse la maggioranza dei seggi nell’Assemblea nazionale, da cui dipende la scelta del presidente, il Botswana dovrebbe a incamminarsi sulla stessa strada seguita dal suo vicino sudafricano, aprendo la porta alla possibilità di un governo fondato sulla coalizione tra più partiti.
Parabola brillante
In realtà, nonostante queste analogie, le differenze tra i due paesi restano profonde. Molto meno popoloso del suo vicino (2,5 milioni di abitanti, contro i quasi 60 del Sudafrica), il Botswana è privo non solo della struttura economica robusta e diversificata, ma anche dei grandi centri urbani e delle profonde divisioni etniche e “razziali” che caratterizzano il Sudafrica e che hanno contribuito a creare un ambiente favorevole alla formazione e alla crescita di partiti di opposizione.
Per quanto possa essere visto come il capostipite dei movimenti di liberazione saliti al potere in tutti i paesi della regione dopo la fine del colonialismo e dei regimi bianchi, il Bdp ha una storia per molti versi diversa da quella dell’Anc. Nonostante i buoni rapporti con il movimento di liberazione sudafricano, non è passato attraverso l’esperienza della lotta armata e non ha condiviso la prossimità con il marxismo che ha caratterizzato gli altri movimenti della regione fino al crollo dei regimi comunisti in Russia e nell’Europa orientale.
Anche i risultati conseguiti sul piano economico una volta salito al potere apparivano, almeno fino a qualche anno fa, molto più brillanti. Mentre l’Anc è stato accusato di non aver saputo migliorare significativamente i livelli di crescita raggiunti dal Sudafrica dell’apartheid, il partito guidato da Seretse Khama e dai suoi successori si è guadagnato il merito di avere promosso una delle più straordinarie traiettorie di sviluppo mai registrate nel sud del mondo, grazie allo sfruttamento efficiente degli ingenti giacimenti di diamanti scoperti nel paese proprio mentre il Bechuanaland (il futuro Botswana) si accingeva a guadagnare la sua indipendenza dalla Gran Bretagna negli anni Sessanta.
Eppure, nonostante le differenze che separano i due paesi, il Botswana potrebbe rappresentare il caso che trasforma la svolta “eccezionale” avvenuta in Sudafrica nel maggio scorso in un trend capace di modificare la traiettoria evolutiva delle democrazie dell’Africa australe. Se anche in Botswana il voto sancisse la discesa del partito di governo al di sotto della soglia del 50% e conducesse alla nascita di un governo di coalizione, il segnale lanciato sarebbe duplice.
Da un lato, apparirebbe evidente che l’era caratterizzata dall’egemonia dei movimenti di liberazione si avvia alla sua conclusione; dall’altro, si accrediterebbe l’idea che il consolidamento delle democrazie della regione non sia destinato a passare dall’avvento di un sistema bipartitico basato sull’alternanza tra maggioranza e opposizione, come sostenuto a lungo dagli studiosi delle transizioni democratiche, bensì dall’avvento di una qualche forma, ancora tutta da inventare, di power-sharing.
Solo le democrazie cambiano
Come ha scritto il politologo Ralph Matherkga, era prevedibile che le elezioni in calendario nell’Africa australe tra il 2023 e il 2024, arrivate dopo che la pandemia del Covid-19 aveva accentuato la crisi degli equilibri economici e sociali in tutti i paesi della regione, avrebbe potuto scuotere gli assetti politici sorti con le transizioni alla democrazia. In Zimbabwe, il ricorso agli strumenti repressivi costruiti da Mugabe ha permesso alla Zanu-Pf di respingere, ancora una volta, la sfida delle opposizioni e di rinviare nuovamente la fine del suo lungo dominio sul paese.
In Sudafrica, invece, la forza delle istituzioni politiche e giudiziarie, della società civile e dell’economia privata, sostenuta dalla memoria del governo di unità nazionale formato dall’Anc di Mandela e dal National Party di De Klerk durante la transizione degli anni Novanta, hanno permesso la nascita di un’inedita “grande coalizione” tra lo stesso Anc e alcune delle principali forze di opposizione.
Il Botswana ha in comune con lo Zimbabwe un sistema elettorale – il maggioritario basato su collegi uninominali – che, almeno sulla carta, sembra poco adatto a riflettere assetti multipartitici e a favorire la nascita di esecutivi di coalizione. Tuttavia, la solidità delle sue istituzioni democratiche, le più longeve del continente, rende improbabile che un arretramento del partito dominante, che gli tolga la possibilità di governare senza l’appoggio di altri partiti, possa condurre a una implosione del regime democratico.
Quella che si aprirebbe, più probabilmente, sarebbe una fase di incertezza e di sperimentazione, in cui anche il Botswana dovrà capire quali forze politiche e quali idee potranno guidarlo verso la prossima fase di sviluppo “in cui i diritti umani e il progresso economico non siano visti come reciprocamente esclusivi”.
Khama vs Masisi. La fine dell’esilio dell’ex capo di stato
Il rientro in patria dell’ex presidente Seretse Ian Khama è avvenuto a sorpresa dopo quasi tre anni di esilio auto imposto, trascorsi per lo più nel vicino Sudafrica. Una volta varcati i confini nazionali, l’ex capo di stato ha deciso come prima cosa di affrontare il procedimento giudiziario che lo attendeva in Botswana dall’aprile 2022, da quando cioè la giustizia di Gaborone lo aveva accusato di 14 diversi capi di imputazioni, fra i quali possesso illegale di armi da fuoco e ricettazione, per fatti risalenti agli anni della presidenza.
I legali di Khama hanno immediatamente ottenuto la sospensione di due mandati di cattura che erano stati spiccati ai danni del loro assistito per non essersi presentato davanti alla giustizia per rispondere delle accuse. Va notato che il procedimento ai danni dell’ex presidente è partito quando questi aveva già lasciato il Botswana, prima per delle visite mediche e poi, come detto, per un ben più duraturo auto esilio.
La questione è tutto fuorché meramente giudiziaria, però. L’ex capo di stato è il figlio del padre della patria del Botswana, quel Seretse Khama che ha guidato per primo il paese fresco di indipendenza, ottenuta dalla Gran Bretagna, dal 1966 al 1980. Oggi, invece, rappresenta il principale rivale politico del presidente Masisi. La relazione fra i due leader ha una storia complessa, che intreccia anche le reciproche vicende familiari.
Masisi senior è stato un ministro fedele di Khama senior. Masisi figlio, invece, è stato vice presidente di Khama figlio ed è stato nominato da quest’ultimo alla guida del suo partito, il Bdp, nel 2018. È stato sempre Khama poi, ad aprirgli la strada della presidenza dimettendosi lo stesso anno, secondo quella che è ormai una tradizione nel partito.
Una volta salito al potere però, Masisi ha come primo provvedimento licenziato il capo dell’intelligence in carica e poi stralciato alcune leggi care all’ex presidente, su tutte quella che introduceva un divieto di caccia della fauna selvatica. Tema cruciale questo in Botswana, paese che ospita circa un terzo della popolazione mondiale di elefanti. Infine, nel 2019 Khama è stato accusato dai servizi di Gaborone di aver sottratto l’equivalente di otto miliardi di dollari dalle casse dello stato.
La tensione fra i due leader era ormai arrivata a un punto irrecuperabile. Khama si è detto apertamente pentito di aver nominato Masisi alla guida del partito, accusando il presidente di incapacità e tendenze autoritarie. L’ex capo di stato ha preferito l’esilio al Botswana, pur essendo una delle figure più potenti del paese, lamentando rischi concreti per la sua incolumità.
La frattura fra i due pesi massimi della politica del Botswana ha prodotto anche un nuovo partito, il Bpf che Khama ha fondato nel 2019 e che ora sfiderà Masisi il 30 ottobre. E sarebbero proprio le imminenti elezioni ad aver spinto Khama a tornare nella terra natìa. I dirigenti del Bpf lo hanno già annunciato a mezzo stampa: pur non potendosi candidare, l’ex presidente è pronto a far valere tutta la sua influenza in campagna elettorale. (Brando Ricci)