Quando vediamo sui social persone che si trastullano con scimmiette vestite con abiti da bambino, imboccate o nutrite con un biberon, dovremmo pensare a quello che c’è dietro. Perché quei video potrebbero essere solo uno specchietto per le allodole. Molti di questi animali potrebbero essere frutto di commercio illegale e stare lì in bella mostra non per fare tenerezza a chi ama queste creature ma per sollecitare l’interesse di potenziali acquirenti.
I social media, l’e-commerce e addirittura gruppi privati Whatsapp, sono oggi i principali canali attraverso cui avviene il commercio illegale dei primati. Da 25 a 270 dollari per uno scimpanzé, dieci volte di più per un gorilla. Ma questo è solo il primo livello, quello pagato al cacciatore di frodo o al locale che vive nei pressi delle foreste.
Le cifre poi lievitano man mano che si passa nelle mani degli intermediari, degli esportatori e dell’acquirente finale. Fino ad arrivare a 82mila dollari per uno scimpanzé, a 300mila per un bonobo, a 548mila per un gorilla. Un totale di 593 grandi scimmie trafficate sono state individuate in meno di sette anni (2015-2022) in 17 paesi monitorati. Ma il numero costituisce solo un piccolo campione del traffico reale.
Questo è il mercato nero dei primati. Afferrati violentemente dai loro habitat per fame di esotismo, divertimento e investimento, considerato il loro valore sul mercato. Empty Forests. How politics, economics and corruption fuel live great ape trafficking (Foreste vuote. Come la politica, l’economia e la corruzione alimentano il traffico di grandi scimmie). Non poteva essere più eloquente il titolo di un rapporto crudo e doloroso elaborato da Global Initiative Against Transational Organized Crime (Gi-Toc), uno studio da cui emerge un quadro desolante di quanto avviene in aree dell’Africa prese di mira per i primati che le abitano. E che, proprio a causa di queste attività illecite di cattura e vendita, stanno decimandosi.
Esistono due tipi principali di grandi scimmie in Africa, lo scimpanzé e le sue sottospecie, e il gorilla, di cui esistono due specie riconosciute, il gorilla occidentale e il gorilla orientale. Tutti considerati specie a rischio estinzione.
Questa la stima fornita dall’organizzazione riguardo ai numeri: gli scimpanzé sarebbero oggi tra i 317.400 e i 647.300. Mentre i gorilla, non solo in Africa, ma in tutto il mondo, sarebbero tra 306mila a 470mila. In media, complessivamente, circa 900mila esemplari.
Mercato interno e internazionale
Eppure, niente riesce a fermare questi traffici che si svolgono sia a livello nazionale che internazionale. Controlli interni, azioni dei governi locali e delle ong, istituzioni delle Nazioni Unite e l’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn) sembrano non avere finora individuato l’approccio giusto per combattere questo grave fenomeno.
E forse, anche perché, la corruzione e la “collaborazione” di agenti interni e lungo tutta la filiera supera le azioni di contrasto. Dagli studi condotti sul campo risulta che il principale motore della domanda che strappa le grandi scimmie africane dalla natura selvaggia, è di gran lunga la loro carne, venduta nei mercati locali o trasportata nelle aree urbane.
Le parti del corpo delle grandi scimmie, in particolare i teschi e le mani, hanno invece mercato per l’uso nella medicina tradizionale o nei rituali. E talvolta i teschi vengono acquistati all’estero da collezionisti, istituzioni accademiche e artisti. Negli anni, infatti, sono stati diversi i sequestri di teschi di grandi scimmie sia a livello nazionale sia di quelli spediti in altri paesi.
Ma negli ultimi due decenni c’è stato anche un picco nella domanda di specie esotiche da utilizzare come animali domestici. Ci sono poi, altri elementi fondamentali che emergono dallo studio.
Paesi coinvolti
Quello, ad esempio, che il contrabbando internazionale è cresciuto in zone come la Repubblica democratica del Congo e la Guinea che sono i due paesi di origine più attivi per l’approvvigionamento illegale di grandi scimmie. Entrambi hanno una lunga storia di reti criminali organizzate transnazionali coinvolte nel commercio di numerose specie selvatiche, in particolare uccelli, rettili e primati, appunto.
Nel report l’Uganda viene considerato, invece, un “attore emergente” di questo sistema, mentre il Sudafrica è già noto per il suo coinvolgimento in tali commerci. In merito alla Guinea, qualche anno fa venne di fatto smembrata una rete di traffico di grandi scimmie che – si accertò – lavorava con funzionari corrotti del Cites a livello locale. Peccato che poi siano emerse nuove reti, quelle che operano oggi.
La Cites (Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione) è un trattato internazionale che regola il commercio legale di animali selvatici e piante, per garantire che la sopravvivenza delle specie non sia minacciata da un commercio eccessivo. Tuttavia, la mancanza di scrupolo fa in modo di arginare la normativa.
Normative aggirate
Sono vere e proprie truffe. Le più note sono la “C-scam”, dove la C sta per la parte della legge che consente la vendita di scimmie di seconda generazione nate in cattività (quindi non catturate nel loro habitat naturale). Applicare questa semplice lettera all’animale consente di superare i controlli. Inutile dire che servono, in ogni caso, controllori poco attenti o compiacenti.
Funzionari nazionali corrotti falsificano i permessi di esportazione Cites utilizzando il codice sorgente permesso dalla legge ma che nei fatti non corrispondente a verità. In questo modo, solo per fare un esempio, dal 2007 al 2011, oltre 130 scimpanzé e 10 gorilla sono stati presumibilmente esportati da Conakry in Cina.
Un altro metodo utilizzato per ingannare la normativa è il “Q-scam” dove la Q sta per “circo e mostre itineranti”, codice che richiede il ritorno degli esemplari al paese esportatore. In realtà, questo non succede e sia il trafficante che chi utilizza l’animale spera che nessuno se ne accorga.
Cina ed Emirati Arabi sono i paesi particolarmente coinvolti sia come acquirenti che intermediari. Zoo, televisione, intrattenimento dal vivo o su canali Tik Tok. Tutto sembra lecito nell’utilizzo di questi animali così vicini a noi nell’aspetto, comportamento e Dna.
Altro aspetto vergognoso di questo commercio è la caccia ai cuccioli di scimmia – i cui prezzi sono aumentati di oltre il doppio negli ultimi anni. La cattura di neonati di grandi scimmie, infatti, di solito richiede l’uccisione della madre e delle altre scimmie nelle vicinanze. Inoltre, è particolarmente difficile mantenere in vita i gorilla neonati dopo la separazione dalla madre.
Le stime indicano che tra cinque e dieci grandi scimmie muoiono per ognuna di loro catturata. Alcune vengono uccise durante la caccia vera e propria, mentre altre muoiono in seguito a causa di ferite, malattie o maltrattamenti durante la prigionia.
E di questo sono anche responsabili quegli zoo o parchi naturali che non hanno alcuna forma di controllo – o non vogliono averla – sugli animali che arrivano dall’estero. E mentre i santuari africani continuano a riempirsi di specie abbandonate o ferite, allo stesso mondo aumentano le denunce di furti da questi stessi luoghi di protezione.
Rotte commerciali
Sul fronte logistico dal report risulta che oggi la Libia sta emergendo come luogo di transito ma anche paese di destinazione con legami con la Rd Congo e gli Emirati.
Un ruolo rilevante lo avrebbero gli aeroporti internazionali di Conakry (Guinea), Kano (nord della Nigeria) e Kinshasa (Rd Congo), usati come principali punti di esportazione illegale, ma anche Abidjan (Costa d’Avorio) e Yaoundé (Camerun) che sono noti anche per essere stati utilizzati come luoghi di passaggio.
Inoltre, l’Ethiopian Airlines e la Turkish Airlines sarebbero coinvolte nel trasporto di animali selvatici perché entrambi hanno una buona rete di voli dall’Africa al Medio Oriente e destinazioni asiatiche. Anche il Cairo (Egitto) e Doha (Qatar) pare siano stati utilizzati come hub di transito. A queste rotte si aggiunge quella dalla Rd Congo al Sudafrica passando per lo Zambia.
Ovviamente esiste anche l’impatto sulla salute provocato (o potenzialmente provocabile) da questo mercato clandestino. Non dimentichiamo che la causa più probabile della pandemia del Covid-19 è stata individuata nel virus passato da un animale selvatico infetto all’uomo in un mercato alimentare, sebbene in questi ultimi mesi si sia insistito sulla possibilità di una fuga dall’istituto di virologia di Wuhan.