Nel Gambia leader politici e religiosi hanno annunciato di voler presentare un disegno di legge per depenalizzare la mutilazione genitale femminile (MGF), a soli otto anni dall’entrata in vigore di una legge che ne vietava la pratica.
Una direzione preoccupante verso la quale sembrano esserci state già azioni concrete: l’assemblea nazionale del paese sta sostenendo la proposta, mentre il Consiglio islamico supremo ha recentemente emesso una fatwa che condanna chiunque denunci la pratica e chiede al governo di riconsiderare la legislazione.
Questa mossa ha scatenato un’ondata di preoccupazione tra attivisti e organizzazioni della società civile, che ritengono che rappresenterebbe un notevole passo indietro.
Secondo l’indagine demografica sulla salute del paese condotta nel 2019-20, quasi il 73% delle donne di età compresa tra i 15 e i 49 anni ha subito MGF, e il 65% ha subito questa pratica prima di compiere cinque anni. La Mgf comporta la rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni, con gravi conseguenze sulla salute a lungo termine, inclusa l’infertilità.
Attualmente, la legge del Gambia prevede che chi pratica la MGF rischi fino a tre anni di carcere e una multa di 50.000 dalasi (equivalenti a 622 sterline) o entrambi. In caso di decesso della vittima a seguito della pratica, l’autore del reato rischia l’ergastolo.
Il dibattito è esploso con i primi procedimenti giudiziari ai sensi della legge del 2015, lo scorso agosto. Ci sono state alcune condanne che prevedevano una multa di 15.000 dalasi o un anno di prigione. Pochi giorni dopo, un religioso islamico ha pagato le multe e ha incoraggiato i gambiani a continuare a praticare la MGF.
I timori aumentano tra i difensori dei diritti delle donne. Si teme che se la legge sulle MGF venisse abrogata, altre leggi che tutelano le donne e le ragazze, come quella che proibisce i matrimoni prima dei 18 anni, potrebbero essere messe in discussione.