Quelle del 4 dicembre saranno le prime elezioni presidenziali in Gambia da quando Yahya Jammeh, nel gennaio 2017, fu costretto a lasciare il governo del paese nelle mani di Adama Barrow. Una vittoria, quella di Barrow, nella competizione elettorale del 1 dicembre 2016, che fu assai contestata dall’ex presidente che per alcune settimane diede filo da torcere, non solo al nuovo capo di Stato, ma anche ai paesi confinanti, decisi a intervenire militarmente per risolvere lo stallo che minacciava la sicurezza nel paese.
Ma oggi i due sembrano essersi riavvicinati, tra le paure della popolazione e lo sconcerto della comunità internazionale. Ne parliamo subito. Ma prima ricordiamo che in lizza – in questo primo voto dopo 27 anni che non vede partecipare Jammeh (almeno ufficialmente) – ci sono, oltre a Barrow, cinque aspiranti presidenti.
Nelle scorse settimane la commissione elettorale indipendente (Iec) ne ha squalificato 15, tra cui l’unica donna, Marie Sock, per mancanza dei requisiti richiesti dalle normative.
Secondo gli osservatori si tratta di elezioni ad alto rischio. Leggi oppressive e la mancanza di attuazione delle riforme e libertà promesse cinque anni fa, hanno aumentato la paura e la disillusione nella società civile che si avvia alle urne con uno stato d’animo non certo alle stelle.
In questo paese, ricorda Freedom House, i diritti civili e quelli politici sono tra i più bassi al mondo. E del resto anche le manifestazioni contro il presidente uscente, che aveva promesso di lasciare dopo tre anni, non sono state accolte bene dall’amministrazione, visto che si sono risolte con 137 arresti e vari feriti.
La promessa, appunto, era quella di servire come leader della transizione per un triennio. E invece, nel 2019, Barrow ha registrato un nuovo partito, il Partito popolare nazionale (National People’s Party – Npp) alla ricerca di un secondo mandato.
Oggi la popolazione – soprattutto attivisti, dissidenti e le vittime del regime di Yahya Jammeh – teme molto l’alleanza tra Barrow e il partito politico dell’ex dittatore (Yammeh è stato al potere 22 anni) oggi in esilio in Guinea Equatoriale. Solo tre mesi fa, infatti, l’Npp ha firmato una controversa alleanza con il partito di Jammeh, l’Alleanza per il riorientamento e la costruzione patriottici (Alliance for Patriotic Reorientation and Construction – Aprc), per raccogliere più voti. Una cosa che pare non sia piaciuta all’ex rivale. Ma questa è solo l’ufficialità.
Si sospetta invece che Barrow abbia accettato di concedere l’amnistia a Jammeh per i crimini che ha commesso durante la sua dittatura, in cambio del sostegno politico. Anzi c’è chi chiaramente sottolinea che la tornata elettorale è di fatto un affare privato tra il presidente uscente e l’ex dittatore.
Ed è per questo motivo che a questo annuncio sono andati crescendo i timori che un tale accordo ostacolerebbe gli sforzi del Gambia per la democratizzazione e la giustizia transazionale.
Nel paese ora si pensa che la Commissione per la verità, la riconciliazione e la riparazione (Truth, Reconciliation and Reparations Commission – Trrc) istituita per affrontare le violazioni dei diritti umani dal suo predecessore, si rivelerà una farsa. Pochi giorni fa la Commissione ha rilasciato un documento di 14mila pagine. È il risultato di più di due anni di udienze sui crimini dell’era Jammeh.
Quasi 400 testimoni hanno fornito prove – giudicate “agghiaccianti” – su torture autorizzate dallo Stato, omicidi, stupri e persino “caccia alle streghe”, spesso per mano dei “Junglers“, così erano conosciuti gli squadroni della morte al soldo di Jammeh. Cosa ne farà Barrow di questo documento che non a caso vede la luce a pochissimi giorni dalle elezioni?
Ma vediamo agli altri candidati. Ousainou Darboe è il leader del Partito democratico unito (United Democratic Party – Udp), la più grande forza politica di opposizione del paese. Darboe si è fatto tre anni di prigione – nel periodo Jammeh – per aver organizzato e guidato proteste contro la morte di un attivista. Si tratta del più anziano tra gli aspiranti alla carica di presidente (73 anni).
Ѐ stato ministro degli esteri e uno dei tre vicepresidenti, ma è entrato in conflitto con Barrow per avergli rifiutato il sostegno per un secondo mandato presidenziale. Ed è proprio lui lo sfidante più forte del presidente uscente. Tant’è che le previsioni vanno in due direzioni: un ritorno (diretto o indiretto) dell’ex dittatore – grazie alle manovre di Barrow – o l’affermazione dell’ennesimo gerontocrate dell’Africa occidentale.
A provarci, comunque, sarà anche Mama Kandeh, che arrivò terzo nelle elezioni del 2016. Figura di rilievo nell’Aprc fino alla sua espulsione che lo ha portato alla formazione di un altro partito, il Congresso democratico del Gambia (Gambia Democratic Congress – Gdc), con cui appunto si presenta alle elezioni sperando di raccogliere i voti del gruppo scissionista all’interno dell’ex partito di governo, formatosi dopo la discussa partnership tra l’Aprc e l’Npp.
C’è poi l’indipendente Essa Mbye Faal, che per candidarsi ha rassegnato le dimissioni dalla carica di procuratore capo della Trrc. Altro candidato indipendente è l’ex capo dell’aviazione Abdoulie Ebrima Jammeh. Infine, per queste elezioni si presenta Halifa Sallah, deputato dell’Organizzazione democratica popolare per l’indipendenza e il socialismo (People’s Democratic Organisation for Independence and Socialism – Pdois).
Se da un lato si pensa che i cinque anni di Barrow abbiano contribuito ad un minimo avanzamento democratico, dall’altro i suoi cinque anni sono stati utilizzati per consolidarne il potere e questo era evidentemente nei suoi piani, nonostante le promesse andassero in una diversa direzione.
Ma – ripetiamo – la mossa dell’alleanza con il partito dell’ex dittatore è stata anche letta come «un segno dell’incapacità di lasciarsi alle spalle l’eredità repressiva di Jammeh e aprire un nuovo capitolo democratico nella politica del Gambia». Inoltre, i gambiani che erano stati vittime di Jammeh e dei suoi sostenitori negli ultimi due decenni «hanno percepito la mossa come una pugnalata alle spalle e una negazione della loro sofferenza». Sono le parole dell’accademico gambiano Amat Jeng.
È un’alleanza che fa anche temere, come abbiamo detto, che Jammeh possa presto tornare nel paese e reinserirsi nella politica gambiana. Ma c’è un altro problema che mette a rischio la stabilità del paese, ed è sempre Jeng a sottolinearlo nella sua analisi. Oggi ci sono 18 partiti politici registrati del paese e in competizione per il sostegno a questo o quel candidato, e poco più di un milione di aventi diritto al voto.
Partiti che hanno programmi contrastanti, con alcuni di questi che non esitano ad alimentare divisioni e conflitti per espandere la loro base di supporto. L’elevato numero di partiti politici, insieme al sistema elettorale first-past-the-post del Gambia (praticamente il sistema maggioritario), significa che un candidato con appena 100mila voti può diventare il prossimo presidente. Questa – per alcuni analisti – rappresenta una grave minaccia per la stabilità del paese.
Insomma è un momento storico davvero importante e delicato per questo piccolo paese dell’Africa occidentale con una popolazione di circa 2.4 milioni di abitanti e un tasso di povertà pari al 37.8%. Un paese che conta però anche una popolazione giovane e dinamica che potrebbe fare la differenza nello sviluppo del Gambia – e nel voltare davvero pagina – se fosse messa in condizioni di esprimersi liberamente.