Gambia: a rischio revoca la legge contro le mutilazioni genitali femminili
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In discussione in parlamento la proposta di abolire la legge in vigore che vieta le MGF
Gambia: a rischio revoca la legge contro le mutilazioni genitali femminili
Nel paese a maggioranza musulmana la discussione oscilla tra motivazioni religiose e legate alla tradizione. Dai movimenti femminili alle organizzazioni per i diritti umani, fino all’ONU un coro di allarmate proteste. Se dovesse passare la proposta, avvertono, le donne rischiano di perdere anche altre tutele legali
19 Marzo 2024
Articolo di Antonella Sinopoli (da Accra)
Tempo di lettura 5 minuti

Invece che proteggere le donne lo stato del Gambia ha intenzione di ridurre anche i pochi diritti e protezioni legali che nel tempo sono state loro accordate.

Parliamo nello specifico di una legge che, dal 2015, quando era ancora al potere il dittatore Yahya Jammeh, proibisce le mutilazioni genitali femminili (MGF) imponendo pene pecuniarie e la prigione per chi le pratica o le fa praticare, ma che ora il parlamento ha deciso di revocare.

A larga maggioranza – 42 su 47 partecipanti – la proposta di revoca era stata approvata qualche settimana fa, ma la seconda votazione in programma il 18 marzo scorso non ha fatto avanzare l’iter. Questo dietrofront – che però non è certo conclusivo del dibattito in corso – è in gran parte dovuto alla reazione internazionale, a cominciare da quella di Amnesty International.

Ma anche a decise e coraggiose proteste organizzate a Banjul, la capitale, da gruppi femminili. Sui diritti delle donne non si torna indietro, questa in sostanza la motivazione delle critiche che sono arrivate da organizzazioni per i diritti umani e dai movimenti interni.

Nel paese la discussione oscilla tra le motivazioni religiose e quelle legate alla tradizione. Il Gambia è quasi totalmente musulmano e chi sostiene l’abolizione della legge a tutela delle donne, afferma che vietare la pratica significa togliere loro il diritto di praticare i propri costumi e tradizioni. Ma c’è chi nega che rimanere “integre” vada contro i pilastri dell’islam.

È chiaro che la discussione, anche a livello interno è molto forte. Le donne – sul cui corpo si giocano gli interessi del patriarcato e di una società che vuole opprimerle – non sono disposte a stare a guardare.

Il pericolo è quello di perdere anche altre tutele legali. Lo spiega bene Jaha Dukureh, fondatrice di Safe Hands for Girls: “Se il divieto delle mutilazioni genitali dovesse essere revocato, allora potrebbero fare lo stesso con la legge contro i matrimoni precoci e quella sulla violenza domestica. Qui non si tratta di religione ma di una politica di controllo delle donne e del loro corpo”.

Insomma, le esistenti tutele legali fanno almeno da schermo, anche se non possono abolire totalmente la mentalità che sta dietro la volontà di controllare il corpo e le scelte della popolazione femminile.

Una popolazione femminile che, per esempio, è poco rappresentata nelle istituzioni. Nonostante sia la metà della popolazione totale, solo il 9% di esse fanno parte del parlamento. E ancora giocano a sfavore i giudizi della società nei comportamenti pubblici e nelle reazioni familiari dove è sempre forte la sottomissione nei confronti del padre e poi del marito.

Per quanto riguarda le MGF (FGM nell’acronimo inglese), i dati sono inequivocabili. Anche se, secondo l’ONU, la pratica era notevolmente diminuita dall’introduzione della legge nel 2015, anche sotto divieto – afferma l’UNICEF – il 73% delle donne e ragazze gambiane tra i 15 e i 49 anni hanno subito l’escissione e la maggior parte di loro prima di compiere 5 anni.

Ora solo l’idea di abolirne il divieto potrebbe incrementare nuovamente la percentuale di chi vi fa ricorso o viene costretto a farlo. Non dimentichiamo che sono spesso proprio le madri, cresciute secondo determinate logiche di rispetto di principi e “valori”, che organizzano e presiedono al “rituale”.

Come ricorda Le Monde, tra il 2018 e il 2019 un solo caso di mutilazione genitale è stato portato davanti a un tribunale ma non ne era seguita alcuna condanna. Nel 2023 poi, tre donne sono state condannate a pagare un’ammenda o a subire il carcere. A pagare per loro la pena pecuniaria era stato un capo religioso.

E nello stesso momento il CIS (Corte suprema islamica del Gambia) lanciò una fatwa dichiarando che le MGF “non sono solo una questione legata alle tradizioni ma una delle virtù dell’islam”.

Nello stesso tempo 178 organizzazioni della società civile avevano firmato una lettera aperta in cui si esortava il governo del Gambia a mantenere fermi i suoi impegni per proteggere le donne e le ragazze attraverso, appunto, la legge che vieta di praticare la mutilazione genitale femminile.

Secondo il Fondo delle Nazioni Unite per i bambini, a livello globale il numero di donne e ragazze che hanno subito qualche forma di MGF è salito da 200 a 230 milioni negli ultimi 8 anni. Di questi, 144 milioni si sono registrati in Africa. Dati che sarebbero dovuti anche all’incremento della popolazione.

E se paesi come Sierra Leone, Etiopia, Burkina Faso, Sudan e Kenya hanno comunque registrato significativi miglioramenti, altri come Somalia (dove il 99% delle donne tra i 15 e i 49 anni hanno subito questo genere di pratica), Guinea, Gibuti e Mali rimangono tristemente in cima ai paesi dove le mutilazioni genitali femminili sono ampiamente praticate.

La pratica delle MGF rappresenta una violazione dei diritti fondamentali delle bambine e delle donne. A questo proposito va ricordato che il Gambia ha ratificato il Protocollo di Maputo. Questo afferma che pur essendo la cultura e le tradizioni positive, bisogna eliminarne le pratiche pericolose e le MGF sono tra queste.

Ma tale chiarezza esplicativa non impedisce a chi dirige il paese di sconfessare quanto ha firmato e di mettere in condizioni di pericolo fisico, di stress psicologico e di trauma bambine, ragazze, donne che vengono sottoposte a tale tortura.

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