Per chi non è convinto delle interpretazioni che si sono fin qui date all’aggressione della Russia di Putin all’Ucraìna e alle ricadute geopolitiche che il conflitto ha avuto anche in Africa, trova in questa pagine più di una spunto di riflessione.
L’autore, geografo, africanista e professore emerito all’Università Iulm di Milano, apre la sua analisi affermando che la guerra è raccontata attraverso un canone mediale che chiama epimedia e che definisce così: «Si è invertito il rapporto di subordinazione tra comunicazione e informazione: non più la prima al servizio della seconda, ma la seconda al servizio della prima». Epimedia si è formata durante la pandemia del Covid-19 «e oggi non fa più scandalo».
Dai media digitali si è diffusa a stampa, televisione e radio. E «mentre noi siamo diventati tutti giornalisti, in qualche modo, i giornalisti sembra siano stati sopraffatti dalla tentazione di diventare uno di noi». Allo struttura dello spazio epimediale della guerra è dedicato un capitolo che va digerito e che potrà trovare reazioni, una volta uscito dall’ambito strettamente accademico.
L’autore non aspetta altro. «Decostruiamo, qui, ricomponiamo, senza partiti presi. Dopotutto non c’è libro peggiore di quello che ti sollecita ad essere d’accordo su tutto quello che dice, dalla prima all’ultima pagina. Anche quando pretende di dividere il mondo in “buoni” e “cattivi”».