Non solo costruire ma anche demolire è un’arte. Richiede competenze, qualifiche e l’adesione a precise regolamentazioni. Quando questi elementi mancano ci troviamo di fronte ad atti non solo illeciti ma criminali, considerati i risultati sull’ambiente e i suoi riflessi sulla salute degli esseri umani. È quello che sta accadendo in Ghana su molti fronti.
Ci siamo occupati spesso – e anche recentemente – dei danni provocati dallo smantellamento di rifiuti elettronici (il Ghana è tra le prime destinazioni al mondo del traffico illecito di e-waste) o del “colonialismo dello scarto”, vale a dire di quanto le montagne di abiti usati (prodotto della cosiddetta fast fashion) che arrivano nel paese dall’Occidente siano impattanti.
Perché se da un lato rappresentano una fonte di reddito per migliaia di famiglie, dall’altro il livello di inquinamento che producono – pensiamo solo alle microplastiche contenute nelle fibre e che vanno poi a finire (scarti degli scarti) nei corsi d’acqua o nel mare – è altissimo.
Altissimo e senza rimedio vista l’incapacità (o meglio la mancanza di volontà) di farvi fronte. C’è poi un altro fenomeno di cui si parla meno ma che non è affatto meno nocivo: lo smantellamento delle navi obsolete e abbandonate, come uccelli morti, sulle battigie del Ghana.
Fenomeno che tra l’altro può solo aumentare visti i continui sviluppi infrastrutturali dei principali porti del paese: quello di Tema e quello di Takoradi.
Il caso Naftilos
Qualche anno fa l’ong Shipbreaking che si occupa di campagne e sensibilizzazione per il riciclaggio pulito e sicuro delle navi, aveva puntato l’attenzione sulla Naftilos, una nave da carico refrigerata, costruita in Giappone nel 1985 e di proprietà della società greca Fairport Shipping Ltd.
Nel corso degli anni la nave, abbandonata al suo destino fin dal 2017, è stata spogliata di tutto ciò che poteva essere ancora utile e smantellata lì dove era stata abbandonata: a Kpone Beach, tratto di costa caratterizzato da pianeggianti zone sabbiose e promontori rocciosi proprio a Tema, non lontano dal porto.
Purtroppo, non si tratta dell’unico caso. I 530 km di costa del Ghana stanno gradualmente diventando il sito preferito per la demolizione delle vecchie navi.
Secondo l’Autorità marittima ghanese – come riporta il servizio pubblicato da The Continent – 7 navi sono state smantellate nel 2019, 11 nel 2020 e 5 nel 2021. Tra queste il peschereccio Naftilos.
Una compagnia locale assunse i residenti di Kpone Beach come demolitori informali per rimuovere, tagliare e dare fuoco alle varie parti della nave, racconta ancora il reportage. Dieci dollari alle donne, quindici agli uomini per ogni giorno di lavoro.
E nessun dispositivo di protezione personale, nonostante i rischi per la salute derivanti dalla fuoriuscita di acqua oleosa, metalli pesanti come piombo e mercurio, diesel, vernice tossica di tributilstagno (TBT), detriti e altri contaminanti.
Inutile spiegare quanto la pesca fosse stata compromessa. E questo non è tutto: spesso avviene che gli scheletri delle navi demolite rimangono lì, alla deriva e finiscono per diventare un’attrazione, per turisti e abitanti del luogo.
Ma sia lo smantellamento sul posto, sia la presenza di questi resti ferrosi e della fuoriuscita di sostanze pericolose, continuano a rappresentare una minaccia per l’ecosistema e la salute della popolazione che vive lungo la costa.
Autorità (in)competenti
In realtà, come spiega Shipbreaking, ai cantieri di demolizione navale vengono concesse licenze e permessi dall’Autorità Marittima e dall’Autorità Portuale del Ghana, “ma nessuna delle due entità segue l’iter per garantire che il processo di demolizione sia condotto in modo rispettoso dell’ambiente”.
Esistono anche in Ghana leggi relative alla questione e, inoltre, il paese ha firmato la Convenzione di Hong Kong (2009) per il riciclaggio delle navi sicuro e compatibile con l’ambiente.
Ma le autorità continuano a essere assai permissive e così è facile approfittare del basso costo della manodopera infischiandosene della sicurezza sul lavoro e meno che mai dell’inquinamento marino.
Tale lassismo ha fatto sì che un numero ancora maggiore di navi obsolete venisse abbandonato nel tempo in modo arbitrario sulle coste del Ghana. Oltretutto, “negli ultimi anni, il numero di aziende siderurgiche è aumentato, in particolare vicino alla zona industriale di Tema, così come è aumentata la sete di rottami d’acciaio del paese” spiega Shipbreaking.
Ciò che servirebbe è una nuova legislazione su misura per regolamentare le attività di riciclaggio delle navi in linea con gli standard europei, e creare un’industria pulita e sicura con adeguate strutture di gestione dei rifiuti.
Ma soprattutto servirebbe l’interesse e l’impegno reale – di chi è deputato a farlo – nel controllare, monitorare e vietare le operazioni di abbandono e successivamente di demolizione in mare di queste navi giunte a fine vita ma che, nell’opera di smantellamento incontrollato, continuano a rilasciare materiali tossici che rovineranno, presumibilmente per sempre, i luoghi in cui saranno sversati.