Ghana, una crisi annunciata - Nigrizia
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Le casse dello stato svuotate da politiche azzardate
Ghana, una crisi annunciata
Debito pubblico al 76% del Pil, inflazione al 54% e moneta ai minimi storici, così come i consensi al governo di Akufo-Addo. Che per risollevare il paese conta sul Fondo monetario, mentre cerca di far fronte a crescenti accuse di corruzione
18 Gennaio 2023
Articolo di Antonella Sinopoli (da Accra)
Tempo di lettura 6 minuti
akufo addo
Il presidente Nana Akufo-Addo

È passato del tempo da quel 2019 quando il Ghana svettava ai vertici delle performance economiche mondiali lasciando presagire un futuro di crescita e benessere.

La scoperta di giacimenti di petrolio off-shore e i relativi accordi per l’estrazione con alcune multinazionali (tra cui l’Eni) avevano portato il paese sulla scena internazionale. Una nazione stabile, economicamente promettente e grandi speranze per il futuro.

Ecco, quel tempo, si è lentamente dissolto e il Ghana sta vivendo una delle più serie crisi degli ultimi decenni. E nonostante rimanga il maggior esportatore di oro e cacao, l’inflazione ha ormai toccato il record del 54,1% a dicembre, il tetto più alto da vent’anni a questa parte. Tanto che il Ghana cedi è diventata la moneta nazionale più svalutata nel 2022.

Se ai cittadini si è continuato a ripetere che la situazione fosse dovuta alla pandemia prima e allo scoppio della guerra in Ucraìna poi, la realtà è un’altra. E risiede in scelte poco oculate del governo. 

Un governo – quello di Nana Akufo-Addo eletto nel 2017 e riconfermato per un secondo mandato 4 anni dopo – che ha visto come unica uscita per affrontare la crisi e il conseguente aumento del debito pubblico, oggi pari a quasi 49 miliardi di dollari, il 76% del Pil, la richiesta di intervento del Fondo monetario internazionale (Fmi).

Sebbene per anni Akufo-Addo avesse con orgoglio affermato – anche nel corso di incontri internazionali – che il paese non aveva bisogno di aiuti, abbandonando completamente, nel 2019, i programmi di aiuti internazionali. Ghana beyond aid, questo era il motto.

Le promesse ma anche le azioni, alcune in odore di populismo, soprattutto della seconda tornata elettorale, si sono frantumate sotto il peso delle difficoltà di attuazione e del costo sulle casse dello stato che queste avrebbero avuto.

Pensiamo solo ai sussidi pagati per anni per la formazione di insegnanti e infermieri (solo per questi ultimi la cifra corrisponde ad oltre 2.5 milioni di dollari all’anno), all’adozione del provvedimento che ha sospeso le bollette di acqua e luce durante tre settimane di lockdown (per un totale di 9.4 milioni di dollari) o alla politica della scuola gratuita – free education program – per gli studenti dalla primaria alla secondaria.

Rimangono però inattese le promesse di costruzione di 111 ospedali – lo stesso Akufo-Addo ha nel tempo ammesso che si trattava di un progetto ambizioso – mentre al contempo resta in piedi la costruzione di una mega cattedrale da 5mila posti nella capitale, Accra.

Moltissime le critiche sollevate dall’opposizione e dalla cittadinanza e le accuse di usare soldi pubblici che potrebbero essere invece rivolti per servizi indispensabili per la popolazione. Una popolazione che ha visto in pochissimi mesi lievitare i costi. Da quello del pane a quello della benzina. Aumenti spesso spropositati e fuori controllo.

Insomma, una situazione economica fortemente in bilico tant’è che, nel novembre scorso, il Ghana ha rispolverato il sistema del baratto chiedendo alle compagnie di pagare l’acquisto di prodotti petroliferi con lingotti d’oro.

L’idea parte dalla necessità di ricostituire le riserve valutarie scese dai 10.8 miliardi di dollari nel 2021 ai 6.7 miliardi dello scorso anno.

Paradossale è che il paese, uno dei principali esportatori di greggio, importi di fatto miliardi di dollari in carburante. E non c’è in vista alcun programma – la costruzione di raffinerie, per esempio – per ribaltare questo stato di cose.

Inoltre, tra il 2017 e il 2018 il governo di Akufo-Addo ha speso oltre 2.1 miliardi di dollari per quella che è stata definita “pulizia del settore bancario“. Operazione che ha visto la riduzione delle banche – molte delle quali prive di liquidità e quindi anche impossibilitate a garantire gli interessi ai clienti – da 33 a 23 e la revoca della licenza per altri 340 istituti finanziari.

Per riempire le quasi svuotate casse dello stato a poco è servita l’introduzione di piccole tasse su alcune importazioni, transazioni online o l’aumento dell’Iva sui voli interni.

Ma torniamo al prestito del Fmi, approvato nel dicembre 2022 e pari a 3 miliardi di dollari. Ovviamente, l’accordo con l’istituzione di Bretton Woods prevede una serie di misure economiche e di controlli della spesa.

Ed è anche risaputo che tali misure ricadranno sulla popolazione e potrebbero anche peggiorare la situazione attuale. E alcune analisi prevedono che, in ogni caso, questa misura non risolverà la crisi in corso.

Da tempo, intanto, non solo l’opposizione ma la stessa società civile lamenta l’impossibilità di controllare l’operato del governo e la maniera in cui sono stati spesi fondi pubblici. Le accuse di corruzione e appropriazione indebita sono all’ordine del giorno.

Governo a pezzi

In questo scenario si sono inserite in questi mesi le proteste del maggiore sindacato nazionale dei lavoratori, il Trade Union Congress, quello del settore pubblico. Dopo mesi di trattative il governo ha dovuto cedere e firmare un accordo per l’aumento del 30% del salario a partire da quest’anno.  

Sono serviti i numerosi scioperi dei mesi scorsi – e la promessa di portarli avanti a tempo indeterminato – e il rifiuto di nuovi rinvii prospettati dal governo. Inoltre, il sindacato, si è messo di traverso rispetto al tentativo di utilizzare i fondi pensione per il programma di revisione del debito pubblico.

Agli scioperi – che erano stati indetti a tempo indeterminato – avevano partecipato insegnanti, docenti universitari, medici, infermieri. Insomma, quasi l’intero settore pubblico. Akufo-Addo ha dovuto capitolare.

Quindi non solo è rientrata l’idea di utilizzo dei fondi pensione ma i sindacati sono riusciti a strappare l’aumento di salario. Tutto questo in uno dei momenti più delicati della storia socio-economica del paese. Una situazione delicata anche nella tenuta del governo.

Nelle ultime settimane due ministri hanno rassegnato le dimissioni: quello del commercio, Alan Kyerematen e quello dell’agricoltura, Owusu Afriyie Akoto. Per entrambi le ambizioni sono di correre per le prossime presidenziali del 2024. Ovviamente per il Npp (National Patriotic Party), il partito attualmente al governo.

Rimane invece sotto i riflettori il ministro delle finanze, Ken Ofori-Atta (tra l’altro cugino di Akufo-Addo). Qualche mese fa 137 membri del parlamento avevano firmato una mozione affinché fosse rimosso dall’incarico.

Tra le accuse, anche quella di aver manovrato illegalmente fondi dello stato per la costruzione di quella che ormai viene definita “la cattedrale del presidente”. Ma il ministro è rimasto al suo posto anche dopo le votazioni sulla fiducia del dicembre scorso.

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