In scontri avvenuti il 6 ottobre scorso tra l’esercito e un gruppo antigovernativo armato sono rimasti uccisi sette soldati gibutini.
Di tanto in tanto si verificano episodi di violenza da parte di gruppi ribelli in opposizione al governo del presidente Ismail Omar Guelleh, il cui partito, People’s Rally for Progress, esercita il potere senza rivali dal 1999.
A porre in atto l’ultimo episodio di violenza sarebbero stati membri del Frud (Fronte per il ripristino dell’unità e della democrazia), con un attacco notturno contro una postazione dell’esercito nella zona di Garabtissan, nella regione di Tadjourah, nel nord del paese.
Tuttavia, parlando di violenza “ingiustificabile”, il portavoce del Fronte, Ibrahim Hamabou Hassan, ha smentito che dietro gli scontri ci sia il Frud – formato da appartenenti alla comunità etnica afari – e ha invece accusato dell’azione un gruppo staccatosi da esso.
Formatosi nel 1991, il Frud aveva firmato peraltro un accordo di pace con il governo nel lontano 1994, accordo cui però un gruppo scissionista non aveva aderito.
L’attacco più recente perpetrato dal Frud, che anche allora accusò i membri dissociatisi dal Fronte, è avvenuto nel gennaio 2021, quando venne ucciso un poliziotto governativo.
Gibuti è un piccolo paese fortemente militarizzato che possiede uno tra i maggiori e più attivi porti sul Mar Rosso. Stati Uniti, Cina, Francia, Italia, Germania, Spagna, Regno Unito e Arabia Saudita hanno ciascuno una base militare nel paese. E anche Russia e India hanno forti interessi nel realizzarne una.