Giornalisti e attivisti hanno organizzato un sit-in, questa settimana al Cairo, per chiedere un cessate il fuoco immediato a Gaza e contro l’eventualità di una evacuazione di massa di sfollati palestinesi dalla Striscia verso l’Egitto.
Decine di persone, alcune in sciopero della fame, si sono riunite il 13 dicembre sotto la sede del sindacato dei giornalisti, indossando le kefiah simbolo dell’identità palestinese e scandendo slogan come “la Palestina è araba”, “l’evacuazione è una linea rossa”.
Secondo la cronaca del sito egiziano Madamasr un agente delle forze di sicurezza in borghese, avrebbe cercato, senza successo, di interrompere lo svolgimento della protesta.
Oltre che con Israele e con i suoi partner occidentali le contestazioni hanno polemizzato indirettamente anche con Abdel Fattah al-Sisi, che si appresta a essere riconfermato alla presidenza del paese nordafricano dal voto conclusosi questa settimana e segnato da pressioni sugli elettori e dall’esclusione dell’unico potenziale sfidante, Ahmed El-Tantawi.
Tra le rivendicazioni degli attivisti figura infatti il ritiro dell’ambasciatore egiziano a Tel Aviv, la fine di ogni forma di cooperazione con Israele e l’apertura delle reti telefoniche egiziane ai gazawi.
Da anni il sindacato dei giornalisti è attivo in solidarietà con i palestinesi e nella promozione del boicottaggio di Israele. A ottobre, nei pressi della sua sede, si erano radunate migliaia di persone, in una delle rare manifestazioni di massa dalla presa del potere da parte di al-Sisi nel 2013.
Tra preoccupazione e solidarietà
Oggi, spiega a Nigrizia dal Cairo un attivista egiziano per i diritti dei palestinesi che preferisce mantenere l’anonimato, «il sindacato dei giornalisti è l’unico posto dove possiamo manifestare ed esprimere la nostra opinione». Quanto all’eventualità di un trasferimento di massa dei palestinesi verso l’Egitto, teme che gli israeliani abbiano «bisogno di spostare la popolazione autoctona da Gaza per costruire insediamenti nella Striscia».
L’evacuazione di sfollati gazawi verso l’Egitto è in effetti paventata con crescente preoccupazione anche ai vertici delle Nazioni Unite. «È molto importante che questa evacuazione di persone non venga portata avanti» ha ribadito questa settimana l’Alto commissario per i rifugiati, Filippo Grandi.
Da parte sua, Israele nega di avere intenzioni simili. Al momento, sul versante palestinese del valico, circa metà dei 2,4 milioni di abitanti di Gaza sono ammassati nel governatorato di Rafah, al confine con l’Egitto, tra i bombardamenti e il rischio di fame e malattie infettive.
Anche al-Sisi si è più volte espresso contro l’evacuazione dei palestinesi in Egitto. Nel paese, dove l’economia è strozzata da un debito tra i più alti al mondo e i prezzi dei beni di prima necessità, a cominciare dallo zucchero, stanno lievitando, sono presenti nove milioni di persone tra migranti e rifugiati (dati OIM).
A preoccupare il generale è anche l’eventuale recrudescenza della crisi nel Sinai, che potrebbe essere facilitata dall’ingresso di militanti islamisti da Gaza. Hamas, la forza che attualmente governa la Striscia, nacque negli anni Ottanta come un’antenna palestinese del movimento dei Fratelli musulmani, oggi bandito e fortemente represso dalle autorità egiziane.
Un convoglio per Rafah
Oltre a organizzare manifestazioni di solidarietà nella loro capitale, i giornalisti egiziani sono attivi anche sul fronte della libertà di informare su quanto sta accadendo nella Striscia e al valico di Rafah.
Qui, negli ultimi due mesi, il transito verso Gaza è stato aperto solo sporadicamente per il passaggio di aiuti umanitari, in quantità considerate insufficienti per sostenere la popolazione civile allo stremo.
Alla fine del mese scorso, una carovana internazionale promossa dal sindacato egiziano e intitolata “Global Conscience Convoy” ha provato a partire dal Cairo per il valico, ma senza successo. A sostenere la necessità di aprire il passaggio agli operatori della stampa c’è anche l’associazione internazionale Reporter senza Frontiere, che ieri ha pubblicato un report in cui denuncia la complicità egiziana nel blocco di Gaza.
Secondo il responsabile del reparto inchieste dell’associazione, Arnaud Froger, «il rimpallo di responsabilità tra Israele ed Egitto, in cui ciascuno accusa l’altro per il diniego dell’accesso, mostra che i due governi hanno un reciproco interesse nell’impedire la copertura della situazione a Gaza. Israele è il primo responsabile per questo blackout dell’informazione, ma l’Egitto ha continuato a esserne complice nelle ultime settimane».
A molti giornalisti provenienti dall’Egitto l’ingresso a Gaza è stato negato per motivi di sicurezza: «Una spiegazione che ha senso solo al 50%», commenta uno di loro, sentito da Nigrizia.
Pur se con numeri non paragonabili a quelli di ottobre e novembre, iniziative di solidarietà nei confronti del popolo palestinese si stanno ancora svolgendo in molti paesi nordafricani. All’inizio di questa settimana, iniziative di solidarietà nell’ambito dello “Sciopero globale per Gaza” si sono tenute in molti paesi, tra cui Algeria, Tunisia e Mauritania.