Giornalisti nel mirino - Nigrizia
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Situazione sempre più difficile per i reporter in Africa Orientale
Giornalisti nel mirino
In aumento in molti paesi africani le minacce alla libertà di stampa. Censura, arresti e violenze sempre più ricorrenti hanno portato alla creazione di una piattaforma, nata per proteggere il prezioso lavoro di chi fa informazione di qualità
02 Febbraio 2021
Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi, Kenya)
Tempo di lettura 5 minuti
africa giornalisti minacciati
(intraacpgccaplus.org)

Il 29 gennaio l’Unione Africana ha lanciato una piattaforma informatica per tracciare e monitorare le minacce nei confronti dei giornalisti con lo scopo di proteggere meglio la loro sicurezza e sostenere la libertà di stampa e di opinione nel continente.

La piattaforma, Safety for Journalits in Africa, è promossa anche dall’Unesco, da reti africane impegnate nel settore dell’informazione, come il forum degli editori africani (Taef) e la federazione dei giornalisti africani (Faj), da istituzioni continentali come la Commissione africana per i diritti dell’uomo e dei popoli (Acphr) e il tribunale africano di Arusha, da organizzazioni professionali (International Federation of Journalists), da organizzazioni della società civile come il comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj) e The African Freedom of Expression Exchange (Afex) e da partner internazionali che supportano lo sviluppo dell’informazione di qualità nel continente come la britannica BBC (BBC Media Action).

Una rete di protezione veramente ampia ed articolata per un problema scottante. Nell’ultimo rapporto sulla libertà di stampa (Press Freedom Index) pubblicato da Reporter senza frontiere (Rsf), molti paesi africani, e in particolare quelli dell’Africa Orientale, si trovano nelle fasce che mostrano più serie difficoltà. Nel gruppo considerato più a rischio troviamo l’Eritrea e Gibuti, rispettivamente al 178 e 176 posto su 180 paesi considerati.

In quello in cui le condizioni sono un po’ meno preoccupanti, ma sempre molto gravi, si collocano Rwanda (155), Sudan (159 ma in netto miglioramento rispetto agli anni del regime precedente in cui si collocava al 175 posto), Burundi (160) e Somalia (163). Meglio è giudicato il Sud Sudan, al 138 posto, in miglioramento rispetto agli anni più bui della guerra civile. Altri paesi erano stati classificati in condizioni mediamente migliori: Etiopia (99), Tanzania (124) e Uganda (125). Ma possiamo scommettere che perderanno molte posizioni nel rapporto che sarà pubblicato quest’anno.

Se osserviamo la cartina dell’Africa dell’ultimo rapporto sulla libertà di stampa di Rsf, vediamo che nel continente le isole di tranquillità sono limitatissime, mentre tutto il resto presenta grossi problemi, con una situazione particolarmente a rischio attorno al Mar Rosso.

Il rapporto citato considera già grave la situazione del 2019. Ma nel 2020 si è verificato un notevole peggioramento. Il 29 dicembre scorso, il sito di Radio France International pubblicava un articolo dal titolo “Il 2020 è stato un anno rischioso per i giornalisti africani, segnato da uccisioni, minacce, arresti e dal Covid”. Nell’occhiello sottolineava che il mese peggiore è stato dicembre. Ora possiamo aggiungere che la deriva è proseguita nel gennaio di quest’anno.

In testa ai paesi in cui i giornalisti hanno rischiato e rischiano di più in questi ultimi mesi troviamo senz’altro l’Etiopia, a partire dallo scorso agosto, a causa della repressione delle dimostrazioni di massa seguite all’omicidio del notissimo musicista e attivista politico Hachalu Hundessa. Ma la situazione è precipitata con la guerra civile in Tigray, in novembre.

La stessa Reuters, autorevole agenzia di stampa internazionale, ha denunciato l’assalto fisico ad un suo fotografo e l’arresto senza motivo di un suo cameraman, avvenuti lo scorso dicembre. L’agenzia e altri autorevoli mass media internazionali sono inoltre stati accusati dall’autorità competente per l’informazione di Addis Abeba (Ethiopian Broadcasting Authority) di diffondere notizie false e senza nessun fondamento sulla situazione in Tigray.

Nello stesso periodo, secondo il Cpj, cinque giornalisti etiopici erano detenuti con le stesse accuse. Tra gli altri, Dawid Kebede, che sarebbe stato ucciso in un agguato con un amico in gennaio a Macallé, capitale del Tigray. Il gruppo per la difesa dei diritti umani Ethiopia Human Rights Council ha pubblicamente dichiarato di ritenere responsabili dell’assassinio le forze di sicurezza del governo di Addis Abeba.

Non molto migliore la situazione in Tanzania e Uganda dove si sono svolte tornate elettorali caratterizzate da abusi plateali dei diritti umani e politici dei contendenti di opposizione alla carica di presidente, e del diritto ad un’informazione libera e credibile dei cittadini.

In Uganda, secondo l’Associazione ugandese dei corrispondenti esteri (Foreign Correspondents’ Association of Uganda), il giornalista Ali Mivule e il cameramen Ashraf Kasirye, dell’emittente locale Ghetto TV, sarebbero stati deliberatamente colpiti con pallottole di gomma dagli agenti anti sommossa. Il secondo, preso alla testa, sarebbe ancora in ospedale in gravi condizioni. In precedenza, un altro giornalista locale, Moses Bwayo, era stato colpito alla faccia.

Molta preoccupazione per la sicurezza dei giornalisti destano ora le elezioni in Somalia, previste per il prossimo 8 febbraio. In un recentissimo comunicato il Somali Journalists Syndicate (Sjs), un gruppo che difende i diritti dei lavoratori dell’informazione e la libertà di stampa, afferma che dall’inizio di quest’anno almeno 14 giornalisti sono stati arrestati e una stazione radio è stata attaccata.

Secondo il segretario generale del Sjs, Abdalle Ahmed Mumin, gli attacchi sono dovuti proprio all’incertezza della tornata elettorale. I giornalisti che lavorano per svelare la posta in gioco vengono considerati una minaccia e messi in condizioni di non poter nuocere agli interessi dei politici in competizione.

Nel 2020 un’ulteriore campo minato si è dimostrata l’informazione sulla pandemia per il Covid-19, che molti paesi hanno cercato di controllare politicamente. In Africa, la Tanzania ha cercato di coprirne con ogni mezzo l’impatto nel paese, minacciando chi cercava invece di diffondere informazioni credibili sul tema.  

In un panorama davvero sconfortante, il lancio della piattaforma “Salvezza per i giornalisti in Africa” è una boccata d’ossigeno che, si spera, contribuirà anche a mettere fine all’impunità che, secondo stime dell’Unesco, riguarda il 90% degli abusi e dei crimini perpetrati contro i giornalisti e la libertà di stampa e di opinione.

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