Questo articolo è uscito nel numero di Nigrizia di settembre 2024.
Caro Alex,
Kenya, Nigeria, Uganda. In tanti paesi dell’Africa i giovani scendono in piazza e chiedono ai loro governi di cambiare. Le ondate di proteste guidate dalle cosiddette “Gen Z” sono state affrontate con tanta repressione ma sono riuscite anche a raggiungere dei risultati concreti. In Kenya soprattutto, dove ragazze e ragazzi si sono unite oltre le linee etniche e politiche, cosa non scontata. C’è speranza per il futuro? (Mariastella Zonin)
In Africa abbiamo assistito a una serie di ribellioni giovanili, in particolare in Kenya, Nigeria e Uganda. Nel mirino ci andati corruzione, emergenze sociali e disuguaglianze. Particolarmente importante per me è stata la mobilitazione giovanile che si è scatenata in Kenya, dove i giovani si sono uniti rompendo le barriere tribali e politiche.
Hanno pagato un prezzo molto alto: centinaia di morti. La stampa africana si sta già chiedendo se non sia in corso una “primavera dell’Africa subsahariana”. Ma la protesta giovanile più straordinaria e vittoriosa si è verificata in Asia, per l’esattezza in Bangladesh, contro la prima ministra Sheikh Hasina, che si è rivelata una leader autoritaria e repressiva.
Sono stati in particolare gli studenti, a scendere in piazza per settimane sfidando la brutalità della polizia. Alla fine però, i giovani bangladesi hanno trionfato, permettendo al Nobel per la pace del 2006 Muhammad Yunus (l’inventore del microcredito e il fondatore della Grameen Bank) di diventare il nuovo capo del governo di uno dei paesi più poveri al mondo.
È importante sottolineare che queste rivolte di giovani hanno trionfato perché sono diventate grandi movimenti popolari. È altrettanto vero è che questo dinamismo non si vede nel nord del mondo.
Ci sono gruppi di giovani che sfidano i governi certo, come Ultima Generazione ed Extinction Rebellion, con tecniche non violente e molto efficaci. Sono però delle minoranze. Questi ragazzi e ragazze hanno capito che stiamo andando verso il disastro ecologico.
Ma sorge allora una domanda: perché tutti i giovani del nord del mondo non si ribellano? Per rispondere ci verrebbero volumi interi, provo a dirlo in poche parole. I ragazzi del sud del mondo sentono sulla propria pelle la sofferenza di vivere sotto regimi autoritari e gli stimoli della fame e della povertà.
I ragazzi che vivono in questa parte del mondo invece, non sentono nulla, perché prigionieri della società del benessere, basata sull’egoismo: una condizione che non ti fa sentire la sofferenza dell’altro.
È la negazione dell’“I care”, del “me ne prendo cura” di Don Milani, accentuata oggi dal capitalismo della sorveglianza che secondo la sociologa Shoshana Zuboff produce “un intontimento psichico che ci rende assuefatti a una realtà nella quale siamo tracciati, analizzati, sfruttati e modificati”.