Diamo un nome alle guerre che si combattono nel continente africano, valutiamone il contesto e individuiamone le connessioni regionali. Perdiamo l’abitudine di rubricarle tra gli eventi genericamente “tribali”, cioè incomprensibili e quindi dimenticabili. Cerchiamo di capire se e perché il mestiere della guerra – che è andato privatizzandosi, in Africa come nel resto del mondo – si regga anche su ragioni “commerciali”.
Se guardiamo ai conflitti solo con una logica umanitaria, rischiamo di non comprendere le logiche degli attori che prendono le armi. Sono alcune sollecitazioni avanzate dall’autore in quella che è una vera e propria lezione su sei conflitti: Rwanda, Costa d’Avorio, Repubblica democratica del Congo, Nigeria e Boko Haram, jihadismo nel Sahel, Cabo Delgado (Mozambico).
Ad essere criticato è innanzitutto l’atteggiamento che prevale, specie sui media, quando si tratta di tematiche africane. Mario Giro fa parte della Comunità di Sant’Egidio per la quale ha svolto l’incarico di responsabile delle relazioni internazionali dal 1998 al 2013, è stato poi viceministro degli esteri con i governi Letta, Renzi, Gentiloni (2013-2018), oggi insegna Storia delle relazioni internazionali all’Università per stranieri di Perugia e collabora con numerose testate giornalistiche.
Il taglio scelto per districare alcune vicende che toccano contemporaneamente più paesi (come nel caso del Grandi Laghi, del Sahel e dell’area del lago Ciad), meriterebbe si aprisse un confronto tra gli addetti ai lavori: sarebbe interessante si esprimessero non solo di studiosi dell’Africa ma anche quel consistente drappello di cooperanti, uomini e donne di Chiesa, operatori umanitari, che lavora nei territori in questione.
Il testo può anche essere un’occasione di “ripasso” per coloro che, senza essere degli specialisti, vogliono acquisire ulteriori informazioni su questi scenari di conflitto. Infatti di ogni paese o area considerati sono ricostruite, rapidamente ma accuratamente, le vicende politico-sociali fondamentali degli ultimi decenni e delineate le pressioni esercitate dalla globalizzazione.
Il richiamo è chiaro: ciò che avviene oggi ha un ancoraggio nella storia del paese e risponde a precisi interessi materiali e a dinamiche culturali. Sull’Rd Congo: «Il proliferare di milizie soprattutto nell’est del paese non è soltanto un fenomeno recente dovuto alle manipolazioni politico-economiche ma fa parte di una storia essenzialmente legata alla controversia su identità e terra, e a forme di autodifesa, di emancipazione economica o di origine religiosa e mistica».
Sul Shael: «La guerra al terrorismo, mantra della comunità internazionale, sta per subire un vulnus decisivo? È ciò che appare in Mali dove in molti stanno cercando di intavolare un dialogo con i movimenti jihadisti contro cui il paese è in guerra dal 2012».
Sui signori della guerra: «In Rd Congo, come prima in Liberia e inseguito nel Sahel o nel nord del Mozambico, il warlordismo ha cambiato pelle ed è divenuto a pieno titolo un attore del caos indotto dalla globalizzazione competitiva, nel quale soggetti di tipo molto vario concorrono per il potere e le risorse. Un capo milizia diviene cioè una sorta di imprenditore armato pronto a collegarsi ad altre reti».
C’è in definitiva da riflettere non poco sulla natura delle guerre e i processi che le alimentano. Guerre che per l’autore sono pienamente moderne e frutto delle trasformazioni che il continente sta conoscendo e subendo.