Comincia fra tensioni politiche, ombre e denunce della società civile il processo agli imputati per il tentativo di golpe che si è verificato in Guinea-Bissau nel febbraio 2022 e durante il quale sono morte oltre dieci persone. L’inizio del procedimento giudiziario, che si svolgerà presso un tribunale militare, è previsto per oggi 4 giugno. Gli imputati sono 37. Fra questi, figura anche l’ex capo della Marina José Américo Bubo Na Tchuto, considerato una delle possibili menti del golpe, già arrestato dall’agenzia statunitense antidroga Dea nel 2023 per il suo presunto coinvolgimento nel traffico di stupefacenti verso gli Usa.
Il primo febbraio 2022 scontri a fuoco si sono protratti per ore fra esercito e uomini armati che avevano tentato di assediare il palazzo presidenziale nella capitale Bissau, dove il capo di stato Umaro Sissoco Embaló stava presiedendo un consiglio dei ministri. L’allarme è rientrato dopo ore di combattimenti. Nei giorni successivi il governo ha reagito all’aggressione arrestando diversi esponenti delle forze armate e delle opposizioni sulla base del loro presunto coinvolgimento nel golpe. Il tentativo di putsch ha inoltre acuito una crisi politica che da lì a due mesi avrebbe causato lo scioglimento del Parlamento. Misura, questa, che Embalò è tornato a imporre nel dicembre scorso, mesi dopo delle elezioni legislative che hanno visto il trionfo delle opposizioni e a seguito di un nuovo presunto tentativo di colpo di stato.
Narcotraffico
Il presidente ha sempre affermato che le ragioni del golpe del febbraio 2022 vanno ricercate nel contrasto del suo esecutivo al traffico internazionale di stupefacenti. La Guinea-Bissau è uno snodo cruciale di questo commercio illegale- vista anche la sua collocazione nel golfo di Guinea, a metà strada nella rotta fra il Sudamerica e l’Europa -, mentre il peso specifico politico ed economico dei narcotrafficanti in passato è anche valso al paese africano la definizione di “narcostato”.
Le ombre attorno al tentativo di golpe del 2022 sono però numerose, a partire dalla stessa ricostruzione dei fatti del primo febbraio fornita dal governo, che si è imposta ma che lascia molti dubbi. Opacità che sono proseguite nei mesi che hanno accompagnato i guineani fino al giorno del processo e che verosimilmente segneranno anche i giorni del procedimento.
Ha fatto discutere anche la scelta dell’organismo che dovrà giudicare gli imputati. Il processo si svolgerà in un tribunale militare nonostante nei mesi scorsi diversi membri della corte militare abbiano rinviato il caso alla giustizia civile affermando di non essere competenti su un presunto colpo di stato, visto quanto previsto dall’ordinamento guineano nei casi di rovesciamento dell’ordine costituzionale. Alcuni di questi giudici militari sono stati anche deposti dall’incarico a causa della loro rifiuto.
La morte di Papa Fanhe
A catalizzare l’attenzione in questi giorni però, è stata soprattutto la morte in ospedale di una delle persone detenute con l’accusa di aver preso parte all’attacco contro il governo: il maggiore Papa Fanhe, di 37 anni.
Secondo quanto affermato da uno degli avvocati delle persone detenute, Roberto Indeque, e da quanto sostenuto da alcune organizzazioni della società civile, un ordine di liberazione di Fanhe era stato spiccato insieme a quello di altri detenuti dalla Procura di Bissau già nell’aprile 2022. Indeque ha sottolineato che il provvedimento era motivato nel fatto che queste persone fossero state ritenute estranee agli avvenimenti di febbraio. Nonostante tutta questa serie di elementi, la mancata scarcerazione di Fanhe sarebbe stata causata da un non meglio precisato «ordine dall’alto», sempre secondo quanto ricostruito da Indeque.
La Lega guineana dei diritti dell’uomo (Lgdh) ha affermato in una nota di «ritenere lo Stato della Guinea-Bissau responsabile della morte del capitano Papa Fanhe». L’organizzazione, nata nel 1991 e costituita da migliaia di attivisti, ha inoltre chiesto «la creazione di una commissione indipendente che indaghi sulle circostanze della morte» del militare. La Lgdh ha inoltre esortato il governo ad «assumersi le proprie responsabilità nei confronti della famiglia indigente del defunto».
Agli appelli della Lega si è aggiunta anche la mobilitazione della Movimento Nazionale della Società civile per la pace, la democrazia e lo sviluppo, che ha chiesto al governo di realizzare un’autopsia sul corpo di Fanhe e di rendere pubbliche le motivazioni del suo decesso.
Crisi istituzionale e politica
La solidarietà è giunta anche dalla politica, e in modo particolare dal Partito del Rinnovamento Sociale (Prs), terza maggiore forza del paese, all’opposizione. Anche quest’ultima formazione ha sollecitato il governo sull’autopsia a Fanhe.
Embalò, dal canto suo, si è smarcato dalle domande sulla stampa rispetto ai ritardi della giustizia guineana, attribuendo le responsabilità alla settore giudiziaro. Il capo dello stato ha anhce aggiunto di «non aver nulla di cui pentirsi» rispetto alla morte di Fanhe, il quale «non è stato ucciso da nessuno».
Il coinvolgimento del Prs nella questione del processo ai presunti golpisti arriva intanto in una fase politica delicata. La Guinea-Bissau è nel pieno di una crisi istituzionale e già nelle settimane scorse proteste della società civile sono finite in scontri, arresti e denunce di torture ai danni degli attivisti in detenzione. Domenica una riunione straordinaria del Prs è stata interrotta dal lancio di lacrimogeni da parte della polizia in direzione sia della sede del partito che della residenza del suo leader, Fernando Dias da Costa, che si trova a pochi passi dal quartier generale del suo partito, alla periferia di Bissau. Gli stessi agenti avevano tentato di impedire ai militanti di partecipare all’incontro, senza successo.
L’intervento degli agenti di sicurezza è stato condannato da tutti i maggiori partiti politici del paese, compreso il Madem-G15 a cui fa riferimento il presidente Embalò.