Guinea-Bissau: sul colpo di stato c’è solo la versione del governo - Nigrizia
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Cos’è accaduto il 1° febbraio davanti al palazzo presidenziale?
Guinea-Bissau: sul colpo di stato c’è solo la versione del governo
Il presidente Sissoco Embaló chiama in causa settori dell’esercito in combutta con i narcotrafficanti. Ma non viene fornito nessun particolare su un tentato golpe maldestro e opaco
03 Febbraio 2022
Articolo di Luca Bussotti
Tempo di lettura 4 minuti
Il presidente Umaro Sissoco Embaló

Le agenzie di stampa internazionali battono tutte le stesse notizie. Nel pomeriggio del primo febbraio ci sono state cinque ore di spari intorno al palazzo presidenziale e il tentativo da parte di un commando di assaltare il consiglio dei ministri in corso, alla presenza sia del presidente Umaro Sissoco Embaló sia del primo ministro Nuno Gomes Nabiam.

Il bilancio sarebbe di 11 morti, tra i golpisti e civili e guardie presidenziali. Il governo sostiene che si è trattato di un gruppo in contatto con settori dell’esercito nazionale, interessati a spezzare l’azione governativa finalizzata a stroncare la lotta al narcotraffico, cancro della Guinea-Bissau da decenni. Infine la conferenza-stampa di Embaló che annuncia che il tentativo di golpe è stato sventato e gli arresti già iniziati.

Questo il film che le fonti ufficiali stanno raccontando e che le agenzie di stampa riprendono piuttosto acriticamente. I dubbi, però, rimangono. E cominciano ad essere espressi anche dalla stampa locale. Sono dubbi, innanzitutto, di metodo e di approccio conoscitivo, giornalistico in primo luogo. Le fonti ufficiali devono essere sempre confrontate con altre, indipendenti. Specie in Guinea-Bissau, una democrazia fragile e instabile anche a causa dell’autoritarismo del presidente Embaló.

Il problema, in questo caso, è che di fonti slegate dalla versione ufficiale non ce ne sono. Non tanto per timore, quanto per mancanza di informazioni. In quelle tremende ore dell’attacco, infatti, i cittadini di Bissau sono stati costretti al coprifuoco, cosicché nessuno, al di fuori della ristretta cerchia di chi si trovava in loco, è riuscito a comprendere che cosa stesse accadendo.

Vi sono, poi, dubbi legati agli obiettivi e ai protagonisti di questo maldestro tentativo di golpe: gli uni e gli altri poco chiari. Se l’obiettivo era defenestrare l’attuale governo in modo violento, è evidente che non sarebbe bastato un manipolo di uomini armati. E se lo scopo fosse stato l’eliminazione di Embaló (come lui stesso sostiene), anche in tal caso i mezzi e l’organizzazione avrebbero dovuto essere più efficienti ed efficaci, specialmente in un paese che ha esperienza da vendere in materia di colpi di stato.

Sui protagonisti il ragionamento è lo stesso: chi siano non ci è dato sapere, anche perché nessuno ha rivendicato il tentativo di golpe fallito, neanche come intimidazione rispetto a un governo “nemico”.

Conseguenze politiche

L’idea propagandata da Embaló che sia stato un gruppo di narcotrafficanti non è da escludere, così come quella di una resa dei conti mal orchestrata da parte di pezzi dell’esercito (e forse del mondo politico) rimasti delusi dal recente rimpasto di governo. Quel che tuttavia occorre sottolineare è l’incertezza delle informazioni e l’unicità delle fonti, che alimentano dubbi, più che dare risposte.

L’altra grande questione riguarda chi ha tratto vantaggi, politicamente, da questo momento di tensione: in chiave tattica chi si prende i dividendi è Embaló. In un momento di grave crisi di prestigio personale e di attriti nella maggioranza, a partire dallo scontro continuo col primo ministro e col partito più importante della sua risicata maggioranza, il Madem G-15, Embaló può vantarsi di avere sventato un colpo di stato che avrebbe avuto effetti mortiferi sulla labile democrazia del paese; può anche sbandierare la fedeltà dell’esercito, che lo ha difeso contro i golpisti, anche a costo della vita, proponendosi così come il vero uomo forte del governo che presiede.

Tuttavia, come anche il sociologo della Guinea-Bissau, Miguel de Barros sostiene, il tentativo di golpe rappresenta anche uno spartiacque fra un “prima” tutto sommato pacifico, anche nella legislatura precedente, dominata dal presidente José Mário Vaz, e un “dopo” che ha riaperto conflitti armati e uccisioni. E con minacce fisiche verso la figura del presidente.

Il tutto all’interno di una governance, quella di Embaló, appunto, per niente inclusiva e caratterizzata da conflitti continui e accesi non soltanto all’interno della maggioranza o col principale partito di opposizione (e di maggioranza relativa in parlamento), il Paigc, ma soprattutto con segmenti fondamentali della società civile: dagli attivisti per i diritti umani ai funzionari pubblici, dai medici agli ambientalisti. Su questo tipo di relazioni sociali e politiche si sarebbe così innestata la spirale di violenza che ha poi portato – qualunque ne sia stata la causa scatenante – al tentativo fallito di colpo di stato.

La conseguenza più prevedibile è il diffondersi di meccanismi repressivi non soltanto contro gli eventuali organizzatori dell’episodio, ma anche e soprattutto contro nemici politici che magari niente hanno a che vedere coi golpisti, ma che Emabló potrebbe prendere l’occasione per metterli a tacere o comunque emarginarli.

Il cammino per le prossime elezioni parlamentari del 2023 è insomma lastricato di enormi difficoltà, in cui la violenza potrebbe farla, ancora una volta, da padrona, con una popolazione sostanzialmente spettatrice di giochi politici poco chiari e ancor meno comprensibili.

 

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