Il tentativo di evasione dell’ex presidente della Guinea Moussa Dadis Camara che si è verificato nel fine settimana non inficerà lo svolgimento del processo che vede quest’ultimo imputato per le sue responsabilità in una strage avvenuta il 28 settembre 2009. In quella data militari agli ordini dell’ex capo di stato uccisero almeno 156 persone e violentarono oltre 100 donne durante una manifestazione allo stadio di Conakry.
A rassicurare le vittime del massacro è stato il ministro della giustizia della giunta militare al potere in Guinea, Alphonse Charles Wright. Il dirigente è intervenuto poco dopo la diffusione delle prime notizie sulla fallita evasione di Camara.
L’ex presidente salì al potere con un colpo di stato nel dicembre 2008 e rimase al potere fino al dicembre dell’anno successivo.
Camara è rientrato in Guinea dal Burkina Faso nel settembre 2022 proprio per partecipare come imputato al processo sul 28 settembre 2009. Il procedimento giudiziario è uno dei più attesi nella storia del paese ed è stato fortemente voluto dalla giunta militare al potere a Conakry anche per manifestare discontinuità con il precedente governo del presidente Alpha Condè, deposto con un golpe dagli stessi militari il 5 settembre 2021 . Nonostante i numerosi annunci, l’esecutivo guidato dall’ex capo di stato non aveva mai avviato un processo contro la giunta di Camara.
Il raid del commando
Stando alle ricostruzioni delle autorità guineane, all’alba di sabato scorso uomini pesantemente armati hanno prelevato dalla loro cella nel carcere di Kaloum l’ex presidente e altri tre militari golpisti imputati nella strage, il colonnello Moussa Tiegboro Camara, il gendarme Blaise Goumou e il colonnello Claude Pivi.
Eccetto quest’ultimo, che è ancora a piede libero e ricercato, gli altri tre militari sono stati arrestati e condotti in carcere nella stessa serata di sabato dopo un’operazione dell’esercito.
Secondo quanto riferito dall’ufficio del procuratore generale di Conakry in un comunicato rilanciato dal portale Guineenews, nel tentativo di evasione avrebbero perso la vita almeno nove persone, fra i quali quattro membri non identificati del commando che ha condotto la fuga e tre esponenti delle forze di sicurezza.
Il bilancio è provvisorio ma resta comunque uno dei pochi punti fermi sull’accaduto, che ha sollevato diversi interrogativi. Vale la pena ricordare che il carcere di Kaloum è il più grande della Guinea e che è situato nel cuore del quartiere più presidiato del paese, dove ha anche sede il palazzo presidenziale.
Evasione o rapimento?
Secondo il governo guineano il raid del commando di sabato sera è senza dubbio un tentativo di evasione. Lo testimonierebbe, ha osservato il ministro delle telecomunicazioni Ousmane Gaoual Diallo, anche il fatto che a capo del gruppo che ha condotto l’incursione ci fosse il figlio del colonnello Pivi, ministro della sicurezza all’epoca della giunta guidata da Camara e unico evaso ancora latitante.
L’avvocato dell’ex presidente Pépé Antoine Lamah ha però respinto questa versione, sostenendo che il suo assistito è stato in realtà vittima di un rapimento e lamentando anzi il fallimento del governo nel garantire la sicurezza del detenuto. Secondo il suo legale, Camara ha piena fiducia nella giustizia guineana e non ha motivo di temere il processo.
La questione più delicata fra quelle sollevate dal tentativo di evasione è legata agli sviluppi del processo sul 28 settembre. Il ministro Wright ha rassicurato le vittime della strage e ha anche annunciato per questa settimana delle riunioni in merito a nuove misure di sicurezza, riporta Radio France Internationale (Rfi).
Le vittime
Per l’avvocato Halimatou Camara, legale di parte civile nel processo, quanto è avvenuto potrebbe spingere chi ha paura a testimoniare a rinunciarvi definitivamente per via delle «le falle nella sicurezza» emerse dalla tentata fuga.
Nel 2009 le autorità guineane affermarono che allo stadio di Conakry erano state uccise 57 persone. Un commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite istituita settimane dopo i fatti portò il bilancio della strage ad almeno 156 persone uccise o disperse, individuando inoltre almeno 109 casi di violenza sessuale commessi dai militari. Secondo i redattori del documento, quanto perpetrato dalla giunta in quell’occasione è qualificabile come crimine contro l’umanità.