«Abbiamo deciso di prendere in mano il nostro destino. La battaglia che stiamo conducendo non solo rovescerà il governo di Ariel Henry. È una battaglia che cambierà l’intero sistema».
Queste le parole pronunciate in un video divulgato sui social media da Jimmy “Barbecue” Cherizier, ex poliziotto e leader della G9 Family and Allies, coalizione delle più potenti bande armate che da anni imperversano nella capitale di Haiti Port-au-Prince.
Nel video il boss annunciava una nuova ondata di violenze con l’obiettivo di sequestrare il capo della polizia e i ministri del governo, e impedire a Henry, in visita in Kenya, di tornare ad Haiti.
Ariel Henry, salito al potere dopo l’assassinio del presidente Jovenel Moise, il 7 luglio 2021, si era impegnato a dimettersi entro l’inizio di febbraio, ma in seguito aveva affermato che si deve prima ristabilire la sicurezza sociale per garantire elezioni libere ed eque.
Da allora, tuttavia, le gang hanno conquistato terreno e si stima che ora controllino la maggior parte di Port-au-Prince.
Gli ultimi attacchi sono iniziati ieri, dopo che Henry ha lasciato il paese diretto in Kenya per tentare di sbloccare lo stallo nell’invio di un contingente di polizia del paese africano, nell’ambito di una forza di intervento multilaterale già approvata dall’ONU.
Le Nazioni Unite stimano che il conflitto ad Haiti abbia ucciso quasi 5mila persone lo scorso anno e ne abbia costrette circa 300mila ad abbandonare le loro case, mentre i combattimenti hanno bloccato l’accesso al cibo e ai servizi medici.
Due giorni fa un portavoce delle Nazioni Unite ha affermato che cinque paesi (Bahamas, Bangladesh, Barbados, Benin e Ciad) hanno formalmente notificato alle Nazioni Unite la loro intenzione di fornire personale alla forza internazionale, richiesta che Henry aveva avanzato con urgenza nel 2022.
La risposta alla richiesta di aiuto era stata ritardata a causa della difficoltà nel trovare un paese disposto a guidare una missione di assistenza alla sicurezza.
Poi si è fatto avanti il Kenya che l’anno scorso aveva pianificato l’invio di 1.000 poliziotti, iniziativa bloccata però da un tribunale kenyano, che l’aveva dichiarata incostituzionale.
Il presidente keniano William Ruto, dal canto suo, aveva dichiarato che il piano sarebbe andato avanti, anche se fino ad oggi non si è realizzato.
Nei mesi scorsi ci sono state poi le adesioni di altri paesi. Il portavoce dell’ONU, Stephane Dujarric, ha notificato che il Benin avrebbe previsto di inviare circa 1.500 uomini. Non è stato immediatamente chiaro quanto personale abbiano impegnato i restanti quattro paesi.
Intanto contributi per 10,8 milioni di dollari sono stati depositati in un fondo fiduciario per sostenere la missione multinazionale. Inoltre, secondo il portavoce, sono stati assunti anche ulteriori impegni per 78 milioni di dollari.