Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato ieri l’invio di una forza di sicurezza multinazionale ad Haiti (Multinational Security Support – MSS) guidata dal Kenya, impegnato a schierare 1.000 poliziotti nel tentativo di contrastare le gang armate in lotta per il controllo del territorio e aiutare a ripristinare l’ordine.
L’intervento è una risposta agli appelli che da circa un anno lancia Ariel Henry, il primo ministro della nazione caraibica in cui le gang – che si ritiene siano legate a cartelli della droga -, controllano il 90% della capitale Port-au-Prince. Appelli caduti finora sempre nel vuoto.
La risoluzione, presentata dagli Stati Uniti – che storicamente hanno grande influenza sulla politica del paese -, è stata adottata con tredici voti a favore e due astensioni (Cina e Russia) dopo difficili negoziati.
La missione avrà la durata di un anno con una revisione dopo nove mesi. Compito della nuova forza multinazionale sarà principalmente quello di “fornire supporto operativo alla polizia haitiana”, con la possibilità di adottare “misure di emergenza”, tra cui “effettuare arresti”.
L’obiettivo finale è quello di creare le condizioni per lo svolgimento delle elezioni, che ad Haiti non si tengono dal 2016.
Oltre al Kenya, gli altri governi che si sono dichiarati disponibili a prendere parte al contingente sono quelli di Bahamas, Giamaica, Barbados, Antigua, Suriname, Belize, Spagna, Senegal e Mongolia.
Nel salutare l’approvazione della risoluzione, il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres ha affermato che è necessario un «uso massiccio della forza» per disarmare le gang che tengono in scacco la capitale, dove sono comuni crimini violenti come omicidi (più di 3mila quest’anno) rapimenti a scopo di riscatto (oltre 1.500 da gennaio), stupri, rapine a mano armata e furti d’auto.
Una situazione radicata e insostenibile per la popolazione della capitale, dove circa 200mila persone sono state costrette a fuggire dalle proprie case e decine di migliaia di bambini non possono andare a scuola.
Ma sull’efficacia di questo nuovo intervento internazionale ad Haiti pesano molte incognite.
A preoccupare è lo sviluppo di uno scenario di guerra urbana in cui la popolazione sarebbe tra due fuochi. Un’ipotesi realistica vista la chiamata alle armi lanciata il mese scorso da Jimmy Chérizier, meglio noto come “Barbecue”, ex ufficiale di polizia leader della gang più potente di Haiti, che ha promesso guerra aperta a qualsiasi forza armata internazionale dispiegata nel paese, annunciando una «lotta per rovesciare in qualsiasi modo il governo di Ariel Henry» e precisando che la loro lotta «sarà con le armi».
Dichiarazioni che suonano ancor più minacciose nel ricordo dell’assassinio del presidente Jovenel Moïse nel 2021, attribuito a gang legate al narcotraffico colombiano.
Gli haitiani, poi, non hanno dimenticato i disastrosi interventi stranieri che si sono susseguiti nell’ex colonia francese, prima nazione a ribellarsi alla schiavitù e prima repubblica nera al mondo (nel 1804).
L’ultimo di questi fu la missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite (MINUSTAH, 2004-2017) accusata di aver sottovalutato la diffusione di un’epidemia di colera che uccise migliaia di persone, di abusi sessuali e di un presunto massacro a Cité Soleil, la più grande baraccopoli di Port-au-Prince.
Contestazioni in Kenya
Anche in Kenya solleva polemiche la decisione del presidente William Ruto di accettare la proposta degli Stati Uniti di guidare l’impegnativa missione oltreoceano.
Un’intesa sancita dalla firma, il 25 settembre, un accordo bilaterale di difesa della durata di cinque anni, che vedrà la nazione dell’Africa orientale ottenere preziose risorse – 100 milioni di dollari – sostegno tecnico militare e di addestramento per guidare la missione multinazionale e combattere le minacce interne di terrorismo.
In molti, soprattutto tra le file delle opposizioni, si chiedono perché Ruto abbia imbarcato il paese in una missione così rischiosa e impegnativa in un territorio così lontano, oltretutto in un momento particolarmente critico per il Kenya, alle prese con una grave crisi economica e finanziaria che pesa drammaticamente sulla vita dei suoi cittadini e sul bilancio dello Stato.
I recenti dati del Tesoro e della Banca Centrale del Kenya (CBK) collocano infatti lo stock di debito del Kenya a 69,3 miliardi di dollari alla fine di giugno 2023. Un debito complessivo cresciuto di 10,9 miliardi di dollari durante il primo anno in carica di Ruto. Un debito i cui interessi si prevede arrivino a 6,2 miliardi di dollari entro giugno 2024.
C’è poi anche chi, come l’ex segretario alla difesa Eugene Wamalwa e l’ex presidente della Corte Suprema Willy Mutunga, parla di una mossa illegale e rischiosa, sollevando questioni di incostituzionalità del mandato, non ancora approvato dal parlamento. La polizia kenyana è mal equipaggiata e non parla la lingua locale, scrive Mutunga sul quotidiano The Star, eppure viene “inviata ad Haiti per ripulire il lavoro sporco di Stati Uniti e Francia”.