L’Africa è un’esperienza kafkiana. Così almeno sostiene Andrew Azaiza, detto Andy Africa, poeta in erba di quindici anni nato a Kontagora, una città nel nord della Nigeria. Qui Andy cresce, studia, si appassiona ai classici della letteratura occidentale, ai film di Hollywood e si scopre attraversato da una forma incontrollata di razzismo interiorizzato. È ossessionato dalle ragazze bianche e bionde, mentre nutre un senso di rifiuto per la propria nerezza.
Sogna di fuggire per sempre dal continente africano, da lui ribattezzato “la Maledizione”, dominato da una divinità misteriosa che gli fa capitare tutte le cose brutte del mondo. Attraverso gli occhi di Andy, per quanto offuscati, Stephen Buoro ci racconta una via crucis fatta sì di dolore e difficoltà, ma anche di grande ironia, di sete di amicizia, di curiosità.
Tutto il romanzo, a partire dal titolo, è attraversato da una crescente tensione drammatica verso la metaforica crocifissione di Andy, una catabasi che viene però via via dissimulata, presentandosi sotto le mentite spoglie a volte di un romanzo rosa, altre di satira sociale, altre ancora di un romanzo di formazione. Non è una sola anima quella che attraversa il libro: è una moltitudine di parole, di immagini, di vite immerse in una violenza desolante ma anche pervase da un forte slancio di creatività, una continua capacità di ripartire anche se nel caos, di sopravvivere non solo fisicamente ma umanamente.
La difficoltà non appare sinonimo di miseria, ma di inventiva. È un romanzo che offre uno spaccato di una Nigeria spesso lontana dai riflettori occidentali, una zona dove le istituzioni, assenti, sono soppiantate dalle autorità religiose. Una dinamica che contribuisce a rendere la convivenza tra cristiani e musulmani sempre più precaria man mano che il radicalismo divampa, spesso sfociando in atti di violenza e rappresaglie.
In questo quadro si inserisce la quotidianità faticosa di Andy, arricchita da un’eterogenea moltitudine di personaggi e di situazioni drammatiche, buffe, surreali. E benché la sua vita si manifesti a tutti gli effetti come una tragedia, dominata da un nucleo di dolore e di perdita dal quale sembra non si possa sottrarre, e benché il finale lasci senza fiato, non è solo un senso di amarezza a rimanere tra le dita quando si chiude il libro.
Attraverso il progressivo smascheramento degli stereotipi e della discriminazione che il protagonista stesso ha introiettato, a volte presentati in modo forse volutamente esasperante, Buoro sembra rivolgere un invito aperto in primis ai suoi connazionali, per far risplendere quei «cerchi luminosi» che «tutti gli africani hanno intorno alla testa», come recita la poesia iniziale, e che da soli possono portare alla fine della Maledizione che secondo Andy opprime il continente.
Che la Nigeria fosse una delle più creative e fertili fucine letterarie dell’Africa, è noto da tempo. Che l’editoria italiana sia pronta a recepirlo in tutta la sua eterogeneità è invece più recente, e già sta incredibilmente arricchendo il nostro panorama letterario. Buoro, al suo romanzo d’esordio, è una delle nuove voci che vi si affacciano e che conquista con la sua scrittura schietta ma per nulla banale.