Tra le maggiori sfide che il governo sudafricano da anni cerca di affrontare, finora peraltro senza aver conseguito grandi risultati, c’è il fenomeno dei lavoratori migranti nelle miniere del paese, che incontrano grandi difficoltà nel processo di integrazione all’interno della società del Sudafrica e spesso sono vittime di angherie, discriminazioni e reazioni razziste e xenofobe anche violente.
Un passo importante che mira a favorire la loro integrazione è stato assunto a livello ecclesiale in un dialogo tra i vescovi del Sudafrica e del Mozambico. Di recente il vescovo della diocesi mozambicana di Lichinga, Atanasio Amisse Canira, presidente della Commissione per migranti, rifugiati e sfollati (Cemirde), ha fatto visita ai migranti mozambicani, molti dei quali impiegati nell’industria estrattiva.
Il vescovo si è incontrato con l’arcivescovo di Johannesburg, Buti Joseph Tlhagale, attivamente coinvolto nella sollecitudine per i migranti e i rifugiati, e con mons. Joseph Mary Kizito, vescovo di Aliwal, responsabile per il settore migranti e rifugiati da parte della Conferenza episcopale dei vescovi del Sudafrica (Sacbc). All’incontro ha preso parte anche il vescovo di Rustenburg, Robert Mogapi Mphiwe, pastore di una diocesi in cui risiedono molte miniere, dove lavorano centinaia di mozambicani.
Non è la prima volta che mons. Atanasio visita i migranti suoi connazionali, soprattutto nell’area di Johannesburg e in altre in cui risiedono un numero rilevante di mozambicani. «Tra i temi trattati abbiamo definito eventuali modalità contrattuali tra le Conferenze episcopali dei due paesi, volte a facilitare l’invio di sacerdoti mozambicani per la cura pastorale dei lavoratori cattolici e di altre appartenenze, nominandoli parroci nelle comunità di lingua portoghese», ha dichiarato mons. Tlhagale.
Il vescovo Atanasio ha inoltre sollecitato l’intervento della Sacbc affinché il governo permetta un’estensione del periodo di visita ai lavoratori mozambicani da parte delle famiglie, fino ad ora limitato ad un mese. La proposta della chiesa mozambicana è che sia prolungato a tre mesi.
Il vescovo Kizito, dal canto suo, ha proposto che le diocesi di provenienza dei migranti, non solo dal Mozambico ma da altre nazioni, organizzino iniziative concrete di preparazione dei giovani che intendono emigrare, in modo da offrire loro una conoscenza basilare, pur se solo teorica, delle sfide che incontreranno nel processo di integrazione in altro contesto sociale e culturale.
Un processo non facile in Sudafrica, dove ufficialmente vivono quasi quattro milioni di stranieri (cifra gravemente sottovalutata). Un paese alle prese con una grave crisi economica e una disoccupazione attorno al 35% che generano un crescente disagio sociale che si traduce sempre più spesso in violente azioni xenofobe contro gli immigrati provenienti da altri paesi africani. E in particolare contro quelli in condizioni di irregolarità.
«Un aspetto fondamentale in questo – afferma Kizito – consiste nella necessità che chi parte abbia in tasca una carta d’identità e altri documenti di viaggio». «Questo perché – conclude il vescovo – nei casi in cui queste persone siano prive dei documenti richiesti, diventa estremamente difficile offrire loro l’aiuto necessario».
In tal senso i vescovi hanno incoraggiato le Conferenze episcopali di Lesotho, Zimbabwe, Malawi, Nigeria e altre ancora, che hanno un numero rilevante di propri cittadini residenti in Sudafrica, a seguire l’esempio della Conferenza mozambicana che ha una cura particolare verso chi intraprende la migrazione. Questo per contribuire non solo alle necessità materiali ma anche alla loro cura pastorale.
Mons. Mphiwe ha infine sottolineato la necessità di introdurre un modello pastorale inedito verso i migranti, dato che gran parte di chi arriva da altri paesi, pur se intenzionato a fermarsi solo temporaneamente per lavorare nelle miniere e racimolare un po’ di soldi, finisce con lo stabilirsi in Sudafrica in modo permanente.