Una dozzina di vescovi della Chiesa anglicana, che raccoglie circa 85 milioni di membri nel mondo, hanno dichiarato ieri di non riconoscere più l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby come loro capo spirituale e “primo tra i pari”, e di non considerare più la Chiesa d’Inghilterra, il cui primate è Welby, come la “Madre Chiesa” dell’anglicanesimo.
Si accentua così il rischio di rottura all’interno della comunione anglicana globale. La ragione è che all’inizio di questo mese l’Assemblea nazionale della Chiesa d’Inghilterra, il Sinodo generale, aveva votato per consentire ai sacerdoti di benedire coppie dello stesso sesso, mantenendo tuttavia il divieto per il clero di celebrare matrimoni gay.
Il matrimonio civile di coppie dello stesso sesso in Gran Bretagna è legalizzato da quasi dieci anni.
Tra i vescovi dissenzienti – che rappresentano un quarto delle 42 chiese che fanno parte della comunione anglicana – quelli di cinque stati africani: Sudan, Sud Sudan, Uganda, Rd Congo ed Egitto.
Contro il voto sinodale si era espresso anche Henry Ndukuba, arcivescovo della Chiesa della Nigeria che rappresenta circa un terzo degli anglicani nel mondo. Per lui il cambio di posizione è stato “deviante”. Gli ha fatto eco Jackson Ole Sapit, arcivescovo del Kenya, criticando le “potenti voci secolari che hanno catturato la Chiesa d’Inghilterra” e dicendosi “rattristato dall’allontanamento della chiesa madre dal vero vangelo”.
Sul tema dei diritti delle persone Lgbt+ era intervenuto solo poche settimane fa anche papa Francesco – con il quale Welby ha preparato ed effettuato il viaggio pastorale del pontefice in Sud Sudan – sostenendo che è sbagliato criminalizzare la condizione omosessuale.