Tempi duri, in Sahel e Africa centrale, per la cooperazione regionale in materia di sicurezza e contrasto al terrorismo. Il G5 Sahel è ormai praticamente un ricordo, collassato sotto i colpi della sua stessa inefficacia, i golpe militari in Mali, Burkina Faso e Niger oltre che a causa di una precisa percezione di dipendenza dalla Francia. Sul versante orientale, lo scenario sembra quanto meno incerto anche per la Multinational Joint Task Force (MNJTF), organizzazione composta dagli eserciti di cinque paesi, impegnata contro i gruppi terroristici e armati non statali presenti nel bacino del Lago Ciad.
Proprio il presidente del Ciad, il generale Mahama Deby Itno, ha infatti minacciato nei giorni scorsi di sfilarsi dall’organizzazione – composta nominalmente anche da Nigeria, Niger, Benin e Camerun e operativa su mandato dell’Unione Africana – denunciando il «letargo» in cui questa sarebbe ormai sprofondata.
Le parole del capo di stato hanno fatto seguito alla morte di decine di soldati ciadiani, fino a 40 secondo diverse fonti, periti in un attacco contro una base militare situata a Barkaram, un’isola nei pressi della località di Ngouboua, nella provincia settentrionale del Lac. Il governo ciadiano ha anche indetto tre giorni di lutto nazionale. Il villaggio colpito, situato non lontano dai confini con Nigeria e Camerun, è stato più volte attaccato da gruppi armati negli ultimi anni e diverse delle incursioni sono state attribuite alle milizie islamiste note con il nome di Boko Haram.
La dura risposta di Ndjamena
Anche in questo caso, pur in assenza di rivendicazioni ufficiali, le autorità ciadiane hanno puntato il dito contro questo gruppo terroristico, di base principalmente nel nord della Nigeria. L’organizzazione eversiva, il cui nome ufficiale sarebbe Jama’atu Ahlis Sunna Lidda’awati wal-Jihad (JAS), è la più attiva nella regione insieme al cosiddetto Stato Islamico della provincia dell’Africa Occidentale, conosciuto con l’acronimo inglese ISWAP, nato da una scissione interna a Boko Haram nel 2015 e con questo in competizione.
Le autorità del Ciad hanno deciso di reagire con fermezza agli attacchi: il presidente si è recato sul posto il giorno dopo la strage, ovvero lo scorso 28 ottobre, anche per annunciare l’avvio di una nuova operazione militare, che è stata denominata Haskanite. Sull’offensiva già pesano le accuse di attacchi ai civili, in modo particolare comunità di pescatori, forse scambiati per miliziani. Ndjamena ha smentito qualsiasi ricostruzione del genere.
Nel comunicato con cui si annuncia il lancio di Haskanite è presente anche la dichiarazione con cui si rende nota l’intenzione di voler abbandonare la MJFT. All’origine di questa postura, la «mancanza di condivisione degli sforzi tra i paesi membri», resasi evidente con l’attacco ai militari di stanza vicino al Lago Ciad. L’operazione multinazionale, si legge ancora nella nota, «sembra soffrire di un’inerzia che impedisce un’adeguata risposta collettiva a un nemico comune. Questa forza, creata con l’obiettivo di unire sforzi e intelligence, sembra essere in letargo»
Non è la prima volta che il Ciad avanza critiche di questo tipo. Solo pochi mesi fa la MNJTF aveva fatto comunque registrare diversi successi. In modo particolare con l’operazione Lake Sanity 2, riuscita, a detta delle fonti ufficiali e di analisti concordanti, ad assestare colpi significativi sia a Boko Haram che all’ISWAP.
La MNJTF è stata istituita nel 1994 soprattutto su impulso della Nigeria. Gli obiettivi originari dell’iniziativa erano il contrasto alle attività di banditismo transfrontaliero, ancora a oggi diffuso nella regione. In seguito si sono aggiunti alla coalizione anche le truppe nigerine e ciadiane e poi si è giunti alla configurazione a cinque, con il Benin che però non schiera truppe da combattimento.
Gli obiettivi della forza multinazionale – e il sostegno a livello internazionale – sono iniziati a mutare a partire dal 2009, quando Boko Haram ha cominciato a condurre attacchi di maggiore portata, soprattutto contro le istituzioni dello stato nigeriano e le autorità islamiche tradizionale del nord del paese. Per altro, l’organizzazione è potuta cresce anche arruolando nelle file dei gruppi di banditi comuni contro cui da subito doveva battersi l’MNJTF. Dal 2015, anche dopo un attacco a una delle sue basi in Nigeria, l’organizzazione ha ottenuto il mandato formale del Consiglio per la pace e la sicurezza dell’UA, che è stato poi rinnovato nel 2022, e ha rimodulato la sua presenza nella regione, arrivando a circa 10mila unità.
La prima defezione c’è stata l’anno scorso però, quando il Niger passato sotto il potere militare ha deciso di sfilarsi (come fatto anche con il G5 Sahel). Nei mesi scorsi, anche sulla scia del miglioramento dei rapporti con la vicina Nigeria, complicati dal golpe, Niamey si sarebbe detta pronta a rientrare.
L’MJNTF è riuscito a ottenere alcun traguardi ma presenta una serie di debolezze strutturali che vanno dalla carenza di fondi alla poca coordinazione a livello di gestione. In qualsiasi caso, un’eventuale uscita di scena ciadiana costituirebbe un forte colpo alla solidità dell’organizzazione. Le truppe di Ndjamena sono fra le più rispettate del continente infatti, mentre il quartier generale operativo della missione si trova proprio nella capitale ciadiana.
Il pendolo della sicurezza tiene l’Occidente in apprensione
Un eventuale addio del paese governato da Deby Itno potrebbe rappresentare un boccone amaro anche per la comunità internazionale occidentale. Il Ciad, nonostante l’apparente avvicinamento verso Mosca che si è osservato negli ultimi tempi, resta un importante alleato francese ed è vicino anche agli Stati Uniti. L’Unione europea e gli USA sostengono economicamente e tecnicamente MNJTF da anni. Nello specifico Washington fa anche parte insieme a Francia e Gran Bretagna di un Center for Coordination and Liaison (CLL) che appoggia l’iniziativa militare regionale a livello strategico, tecnico e finanziario con degli uffici a Ndjamena.
In Africa occidentale i punti di riferimento per l’Occidente nella lotta al terrorismo sono sempre meno, dopo che i paesi retti dai governi militari hanno cambiato rotta e preso le distanze dagli ex alleati tradizionali. Iniziare a perderli anche nella regione orientale del Sahel e in Africa centrale potrebbe costare caro.