Si infuoca il clima elettorale nel paese in vista delle elezioni presidenziali dell’11 aprile dove l’intramontabile presidente Idriss Deby Itno, insignito lo scorso anno perfino del titolo di maresciallo all’occorrenza dei 60 anni di un’indipendenza ciadiana ancora troppo e soltanto sulla carta, si presenta per un sesto mandato.
Al potere dal 1990 con un colpo di Stato che ha messo fuori gioco il sanguinario dittatore Hissene Habré, in Senegal a scontare l’ergastolo per crimini contro l’umanità, il presidente Deby non tollera nessuna opposizione che venga dalle terre del nord.
Sopporta le voci degli oppositori tradizionali al sud, per dare una parvenza di democrazia al paese e mostrarsi sulla scena internazionale con l’immagine di uno strenuo difensore della democrazia. Vetrina che fa molto comodo a francesi e statunitensi che lo considerano il loro gendarme in un Sahel sempre più in fiamme sotto gli attacchi dei vari gruppi jihadisti che controllano terre e traffici di droga, armi e migranti.
Questa volta l’oppositore di Deby è proprio dentro casa. Yaya Dillo è un familiare della sua etnia, Zagahwa, quindi particolarmente scomodo e da eliminare. La mattina del 28 febbraio un dispiegamento spropositato di soldati e guardie repubblicane, a difesa del presidente, si presenta a casa sua, in un quartiere della capitale, e comincia uno scontro a fuoco.
A terra, senza vita, restano la madre di Dillo, un nipote – Dillo parla di cinque morti tra i suoi familiari – e due membri delle forze dell’ordine. Nel caos provocato dall’irruzione della gente del quartiere e da spari di gas lacrimogeni, Yaya Dillo è potuto scappare, accompagnato da alcuni familiari, in una località sicura.
Ma cosa c’è di sicuro in questo paese controllato in ogni angolo dal rais Deby? Ricordo ancora quando, calpestando la terra ciadiana, mi dicevano in quali luoghi potevo parlare di certe cose e in quali no. Quando il telefono era sotto controllo… A proposito, sempre si tagliano le comunicazioni Internet e si perturbano le linee telefoniche quando qualcosa di grosso succede nel paese.
Così avviene in questi giorni, come del resto nelle ultime elezioni del 2016, quando per intere settimane, prima e dopo il voto, le comunicazioni erano diventate impossibili. E si cercava di bypassare il divieto con vari altri sistemi.
Dillo, ex capo ribelle, aveva messo in piedi a inizio degli anni 2000 un movimento a sostegno degli storici ribelli Paul e Timan Erdimi che più volte hanno cercato di scacciare con la forza il presidente, fino all’ultimo assalto sulla capitale del febbraio 2008. Colpo sventato dall’intervento dei francesi, bastione di Deby, che non hanno mai smesso di chiederne il conto.
Rientrato nei ranghi del potere in pompa magna e nel libro paga dell’élite Zagahwa, Dillo è stato nominato successivamente segretario di stato, ministro delle miniere e consigliere del presidente. Certo, uno tra i tanti, oltre 80, che sulla carta dovrebbero aiutare Deby a prendere le decisioni giuste. Poi ancora la giravolta: lo scorso anno attacca frontalmente la prima moglie del presidente, Hinda, per la gestione dei fondi Covid con la sua associazione “Grande cuore” e si mette nei guai.
Accusato di diffamazione esce allo scoperto e si candida alle presidenziali. Da qui lo scontro aperto e la militarizzazione del clima politico, come accusano l’opposizione e la società civile che chiedono una decisa reazione della comunità internazionale e non le solite dichiarazioni di intenti per mettere in piedi qualche forma di commissione d’inchiesta, più o meno indipendente, di cui non si sapranno mai operato e risultati.
Come ha fatto la Francia in questi giorni. Nel frattempo, alcuni voli all’aeroporto internazionale Hassan Djamouss sono stati annullati e questo non è un bel segno. Si respira tensione sulle strade del paese. Il movimento dei “Trasformatori” di Succes Massra, giovane e frizzante oppositore, cuore pulsante delle “Marce del popolo” di opposizione alla candidatura di Deby al sesto mandato, è stato violentemente represso e numerosi membri della società civile sono stati arrestati. Massra ha dovuto rifugiarsi per alcuni giorni nell’ambasciata americana, preoccupato per la sua sicurezza.
Una fonte, mantenuta segreta per ovvie ragioni, raggiunta al telefono da Nigrizia racconta: «Massra è stato messo fuori gioco dalla Corte Suprema e non ha ancora rilasciato dichiarazioni. Dillo, la cui candidatura non è stata accolta, non sappiamo dove sia, mentre il suo quartiere, circondato da blindati e forze dell’ordine, sta rientrando alla normalità. Il clima elettorale è di grande tensione e ogni tipo di comizio e di manifestazione pubblica è vietata, per via del Covid. Questo crea un gran malumore tra la popolazione che vuole davvero gridare la frustrazione di essere stata tenuta ai margini delle decisioni che riguardano l’avvenire del paese. In questi giorni l’associazione dei Diplomati senza lavoro ha lanciato iniziative popolari di protesta ogni giovedì ma è stata subito fermata».
Nell’avvicinarsi al voto i partiti e i movimenti si ritrovano allo sbaraglio, in ordine sparso e quindi sempre più deboli. Massra è tagliato fuori dalla corsa per non aver compiuto ancora 40 anni, limite imposto dalle ultime direttive del regime che escludono dalla presidenza oltre l’80% della popolazione ciadiana. Nelle scorse settimane si stava dando credito all’Alleanza “Victoire” cartello che raggruppava ben sedici partiti dell’opposizione.
Poi la scelta del candidato presidente Théophile Bebzoune Bongoro ha mostrato molte divisioni interne, al punto che l’oppositore storico Saleh Kebzabo si è defilato dall’alleanza. Dopo la vicenda violentissima di Dillo, Kebzabo, la cui candidatura era stata accolta dalla Corte Suprema insieme ad altri 10 pretendenti, si è ritirato dalla corsa presidenziale. Con lui anche lo stesso Bongoro e lo storico oppositore degli anni Novanta, Ngarley Yorongar, leader del partito federalista.
Il presidente Deby ha quindi un autostrada davanti a sé per la riconferma alla poltrona più alta della Repubblica dopo aver promesso per anni che avrebbe ceduto il testimone. Dietro lui il deserto. Restano le comparse: Romandoungar Nielbé Felix, il federalista Brice Mbaimon, l’ex primo ministro Pahimi Padacket Albert, la prima donna candidata presidente ed ex ministra Lydie Beassemda, e i due outsider alla prima esperienza elettorale: l’ingeniere Yobombé Théophile e l’imprenditore Alladoum Baltazar.