Chi ha più di cinquant’anni lo ricorda. Sui libri delle medie e delle superiori si trovava qualche frettolosa considerazione – perlopiù legata al Ventennio – relativi al colonialismo italiano in Africa. Una lacuna più tardi colmata leggendo Angelo Del Boca, in particolare L’Africa nella coscienza degli italiani (Laterza, 1992).
Rimane il fatto che il nostro colonialismo, iniziato timidamente nel 1869 con l’acquisto della baia di Assab sul Mar Rosso e durato più di settant’anni (nell’ordine, Eritrea, Somalia, Libia, Etiopia), fa fatica ad emergere perché tutte le parti politiche hanno deciso di dimenticarlo: troppo divisivo. Noi aggiungiamo, troppo osceno.
L’autore di questo saggio, giornalista italiano di origine eritrea, s’incarica di tornare a mettere in dito in quella piaga e, attraverso le vicende della sua famiglia, ci aiuta a comprendere perché in Italia non c’è mai stato un serio dibattito sulle colonie.
I governi di Depretis e di Crispi avevano giustificato il passo di Assab «come una missione umanitaria, mirata a portare civiltà, a eliminare ogni forma di arretratezza, a cominciare dalla schiavitù. (…) Ai colonizzatori italiani più dello schiavismo interessava approfittare delle nuove terre e per fare questo dovevano assicurarsene il controllo pieno. Come gli altri europei, partivano da presupposto del diritto a quel possesso, della superiorità rispetto agli africani quasi fosse un fenomeno naturale». Si legge come un romanzo.