La pandemia avrebbe dovuto rallentare le rimesse dei migranti. Almeno queste erano le previsioni della Banca mondiale. Invece no. Anzi. In Italia si è registrato l’effetto opposto: sono cresciute. E di molto. Soprattutto quelle dirette ai paesi africani.
È ciò che emerge dalla elaborazione dei dati pubblicati dalla Banca d’Italia in riferimento ai primi 3 trimestri del 2020. Rispetto allo stesso periodo del 2019 le rimesse sono cresciute del 19,4%, arrivando a quasi 5,3 miliardi di euro. Quelle africane sono salite del 34,7%, raggiungendo la ragguardevole cifra di 1,315 miliardi di euro. Di fatto, nei primi 9 mesi del 2020 è stata spedita nel continente africano la stessa somma dell’intero 2019. E quella somma pesa il 25% sul totale delle rimesse. Mentre nei primi 3 trimetri del 2019, i trasferimenti africani (976 milioni di euro) valevano il 22% delle rimesse complessive (4,4 miliardi di euro).
A trainare il balzo dei risparmi verso l’Africa sono stati i primi tre paesi in classifica: il Senegal (343 milioni di euro, +21,9%) il Marocco (339 milioni di euro, +38,5%) e la Nigeria (156,5 milioni di euro, +108,9%).
Dall’analisi delle tabelle della Banca d’Italia si capisce anche come si stia modificando la presenza degli africani nel nostro territorio. Hanno avuto un incremento notevole, infatti, anche le rimesse verso il piccolo Gambia (36,3 milioni, + 152%), e verso la Tunisia (68 milioni, +45,2%), a testimonianza del fatto come in questi anni sia cresciuta la presenza di migranti di quei paesi in Italia. Nel 2020, ad esempio, delle 34.133 persone arrivate via mare sulle nostre coste, quasi 13mila erano tunisine (il 38%).
A spingere i risparmi verso l’estero è stata probabilmente una reazione difensiva nei confronti della situazione di emergenza legata al Covid-19. Se si analizza, infatti, il flusso storico delle rimesse emerge che il picco degli ultimi anni è stato toccato con i 7,3 miliardi del 2011, un anno di pesante incertezza sulla situazione economica dell’Italia. Il timore degli immigrati di un aggravamento della loro condizione forse potrebbe spingerli a pensare a un ritorno nei paesi di provenienza. Ma è solo un’ipotesi.
La definizione di rimessa è ampia e varia a seconda dell’istituto che si occupa di stimarne l’entità. Per la Banca d’Italia con “rimessa” si indica la parte di reddito risparmiata dai lavoratori emigrati e spedita al paese di origine. Le diverse definizioni, e di conseguenza i differenti metodi di stima, causano forti discrepanze nei dati pubblicati dalle istituzioni che si occupano di calcolare questi trasferimenti. A ciò si aggiunge che una parte rilevante delle rimesse avviene attraverso canali informali. Secondo alcuni studi, i dati ufficiali non tengono conto, quindi, di un ammontare che varia tra il 10 e il 30% del totale delle rimesse.
In molti concordano sul fatto, comunque, che questi risparmi spediti all’estero giocano un ruolo importante nell’economia dei paesi in via di sviluppo. «Sono una forma di reddito per le famiglie degli emigrati, che può portare a un andamento del consumo più stabile, a un accesso al mercato dei capitali più forte e a una maggiore stabilità finanziaria nel momento in cui si verifichi una svalutazione della valuta locale. L’andamento delle rimesse è inoltre anticiclico: tendono infatti ad aumentare in seguito a crisi, conflitti o disastri naturali», ci ricordano Irene Solmone, Massimo Taddei e Federica Testi su La Voce.info.
Anche se poi sempre più studiosi evidenziano anche i lati negativi di questa forma di finanziamento. Ad esempio, vengono per la maggior parte utilizzate per consumi di base, per cui il loro contributo agli investimenti (tra cui anche i possibili investimenti nello sviluppo) è quasi inesistente. Inoltre, da esse deriva a volte il rischio di creare una sorta di dipendenza dalle valute estere e a una conseguente riduzione della competitività della valuta locale.
Per Petra Mezzetti – curatrice del saggio Ripartire dall’Africa (edito da Donzelli Editore) frutto del contributo di docenti e ricercatori legati al CeSPI – «le rimesse sono un elemento importante. Ma restano soldi privati che arrivano ad alcune famiglie e ad altre no. In alcuni casi quei trasferimenti migliorano i quartieri, e vengono utilizzati come investimenti per migliorare strutture scolastiche e sanitarie. Ma spesso non si tratta di interventi strutturati che godono di una regia, e soprattutto non bastano».