Il Ghana sommerso dalla plastica - Nigrizia
Ambiente Ghana
Insufficiente l’impegno del governo per risanare l’ambiente. Servono drastiche politiche globali
Il Ghana sommerso dalla plastica
Anche in Ghana i rifiuti plastici stanno aumentando a ritmi insostenibili. La plastica è ovunque, dispersa in grandi quantità nelle città, nelle zone rurali, nei corsi d’acqua e infine nel mare. Un inquinamento che negli Oceani ha raggiunto livelli senza precedenti. E la cui crescita non si arresta
17 Marzo 2023
Articolo di Antonella Sinopoli (da Accra)
Tempo di lettura 6 minuti

Una persona in visita in Ghana con un certo spirito di osservazione potrebbe ironicamente chiedersi se oltre all’Independence Arch, simbolo del paese possano essere considerate quelle bustine nere e di ogni misura in cui i commercianti ripongono qualsiasi acquisto, anche un singolo pacchetto di caramelle o anche quelle trasparenti gettate al vento e che contenevano “pure water”, acqua in confezione da mezzo litro, economica e molto diffusa soprattutto tra il ceto medio-basso.  

Ma se questi oggetti sono talmente diffusi da essere un vero e proprio segno distintivo di questo paese dell’Africa occidentale, non è da meno la presenza invasiva di bottiglie e altri materiali in plastica e packacing vari, quelli in polietilene, per esempio.  

Materiali dannosi, nocivi per la salute e per l’ambiente e sotto cui affondano molte spiagge ghaneane. Da quelle celebri tra i turisti, come Labadi, a quelle più remote sia sulla costa occidentale che orientale, che fino a pochi anni fa erano ancora aree vergini.  

Per non parlare dei villaggi rurali, dove i sacchetti neri e quelli della “pure water” ondeggiano sui rami insieme alle foglie. Tutto questo, ovviamente, non è solo orribile da vedere ma è un danno incalcolabile all’ambiente e alla salute. Si pensi solo agli animali domestici, che nelle aree rurali comunque finiscono per ingerire moltissima plastica tra i rifiuti abbandonati, o alla fauna marina.  

Si calcola che il Ghana produca ogni anno oltre 1 milione di tonnellate di rifiuti di plastica all’anno, ma solo il 5% (50mila tonnellate) di questi viene raccolto e riciclato.  

Mancanza di consapevolezza ambientale, dell’implementazione delle leggi in materia, di luoghi di raccolta (mancano persino i semplici cestini, così come i contenitori fuori le case), ma anche scarsa collaborazione dei cittadini, spesso incuranti e che rifiutano di pagare tasse che dovrebbero andare al decoro delle strade e alla raccolta dei rifiuti: sono queste alcune delle principali cause alla base di una vera e propria crisi ambientale dove la plastica è solo il primo anello di una catena di eventi e di degrado.  

Sono frequenti, per esempio, i casi in cui questa enorme massa di rifiuti riversata nei canali di scolo genera blocchi e deborda durante le piogge, andando ad occupare di nuovo le strade. Senza contare il rischio malaria in aree dove la stagnazione delle acque è appunto provocata dai cumuli di immondizia che bloccano le grondaie.   

Politiche insufficienti 

Pochi i risultati finora raggiunti nonostante il paese abbia aderito nel 2019 – prima nazione africana – al Global Plastic Action Partnership, a cui è seguita l’emanazione di una Road Map. Un piano “ambizioso” (lo dice anche chi lo ha sottoscritto) che prevede una serie di azioni il cui obbiettivo è: zero plastica negli oceani e nei corsi d’acqua entro il 2040.  

È chiaro che non basterà – seppure sia importante – andare a fare qualche conferenza nelle scuole. Come non basta che periodicamente squadre di volontari e attivisti si diano appuntamento sulle spiagge per ripulirle da tonnellate di plastica. Provate a ritornarci dopo neanche una settimana… Saranno tornate come prima. Sporche e colme di buste e plastiche varie.  

Del resto non esistono controlli, né multe per chi sporca. E nemmeno basta incidere sulle bottiglie quel monito di solito scritto molto piccolo “rispetta l’ambiente” e l’immagine dell’omino che getta la bottiglia nel cestino. Come dicevamo, cestini non ce ne sono e se anche ci fossero non siamo certi verrebbero usati.  

Certo, i consumatori possono essere educati al rispetto dell’ambiente, a partire dalle giovani generazioni, e sappiamo quanto forte e generoso sia oggi nei paesi africani il movimento ambientalista formato da giovani. E sono proprio questi giovani a chiedere una maggiore responsabilità dei loro governi, delle aziende, delle multinazionali.  

Il processo sarà molto lungo e va osservato che una maggiore distribuzione di ricchezza, soprattutto nelle città, dovrà necessariamente andare (e solo in parte sta già avvenendo) verso piani di gestione dei rifiuti che prevedano più raccolta porta a porta e nascita – o incremento per quelle poche esistono – di industrie addette alla differenziazione.  

La questione è che i servizi offerti e garantiti nelle grandi città non sono poi diffusi nei sobborghi, nelle aree rurali e in quegli affollatissimi mercati dove l’igiene e lo smistamento dei rifiuti è lasciato completamente al caso.  

Più plastica che pesci 

Ma quello del Ghana è solo un esempio di quanto l’inquinamento da plastica sia un’urgenza che tra un po’ sarà fuori controllo. Un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica a libero accesso, Plos One ha rivelato che i nostri Oceani (tutti gli Oceani) sono affetti da un aumento dell’inquinamento da plastica.  

Per dirla con le parole degli scienziati, nei mari ci sono 171 bilioni di particelle di plastica (soprattutto microplastiche) per un peso complessivo pari a circa 2,3 milioni di tonnellate. Un inquinamento che negli ultimi 15 anni ha raggiunto livelli senza precedenti.

Il lavoro si è concentrato in un periodo di 40 anni, tra il 1979 e il 2019. E se nel periodo compreso tra il 1999 e il 2005 si è assistito a fluttuazioni delle tendenze, dal 2005 i picchi sono saliti enormemente (i campioni sono stati prelevati da oltre 11mila stazioni in tutto il mondo). Che cosa è accaduto dunque negli anni?  

Da un lato l’aumento della produzione, dall’altro scarse politiche di controllo dei rifiuti e di salvaguardia dell’ambiente. Vestiti, pneumatici, stivali, bottiglie e buste, persino boe e reti usate dai pescatori: tutto contribuisce a creare danni che se non si interverrà diverranno irreversibili.  

Oltretutto le microplastiche sono spesso ingerite dai pesci, quegli stessi che arrivano a riva morti o che entrano nella nostra catena alimentare e nel nostro sangue.  

Una cosa assai preoccupante è che ai vari motivi che producono inquinamento da plastica si deve aggiungere il dato demografico. La popolazione africana, per restare nel continente, è destinata a raddoppiare entro il 2050 con tutto quello che ne può derivare a livello di impatto sui territori e sui consumi.  

Lo studio – a cui hanno contribuito dieci ricercatori – evidenzia dunque l’aumento dell’uso della plastica che dovrebbe raggiungere i 451 milioni di tonnellate all’anno. Tanto per fare un raffronto: nel 1950 in tutto il mondo ne venivano prodotte solo 2 milioni di tonnellate. A questi ritmi chissà se basterà una politica di riciclo e di gestione avanzata di tali rifiuti.  

Le soluzioni – suggeriscono gli scienziati – devono essere globali e condivise, magari arrivare al divieto globale del monouso, all’introduzione di tasse per chi produce plastica e all’applicazione del “chi inquina paga”. Intanto, se si continua così, si è detto qualche tempo fa nel World Economic Forum, entro il 2050 nei mari ci sarà più plastica che pesci.

 

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