Il Kenya è alle prese – e non da oggi – con un indebitamento crescente e con il peso di un debito (e degli interessi) che è sempre più pesante per le casse statali.
La crisi è apparsa evidente nelle scorse settimane con le proteste di parlamentari e funzionari governativi che lamentavano il mancato pagamento dello stipendio.
Sulla questione è intervenuto il 10 aprile scorso il capo consigliere economico del presidente, David Ndii, spiegando che i pagamenti degli stipendi sono stati ritardati per una stretta causata dalle scadenze dei pagamenti di enormi interessi sul debito e assicurando che il Paese rispetterà i suoi obblighi di rimborso. Ndii non ha però spiegato come il governo intende farlo.
I pagamenti annuali degli interessi sul solo debito interno sono aumentati da 1,34 miliardi di dollari, quasi un decennio fa, a 5,09 miliardi quest’anno, ha affermato Ndii.
Il debito è lievitato negli ultimi anni anche per una serie di fattori negativi, tra cui la pandemia, l’indebolimento della valuta locale, l’aumento dell’inflazione, le turbolenze del mercato internazionale e la crisi bancaria.
I timori sono che anche il Kenya possa andare in default, come già avvenuto per Zambia e Ghana. Timori assecondati dal silenzio mantenuto finora sul tema dal ministro delle finanze Njuguna Ndung’u.
La crisi finanziaria è un’altra arma giocata dall’opposizione al presidente William Ruto che nella campagna elettorale che lo ha portato alla guida del paese lo scorso agosto si era impegnato a risollevare milioni di persone dalla povertà, e si trova ora ad affrontare malessere e proteste per l’alto costo della vita, cavalcate dallo sfidante battuto Raila Odinga.
Secondo stime dell’Ufficio parlamentare di bilancio, il debito complessivo è pronto a superare la soglia di 75 miliardi di dollari entro giugno. Con un prestito di 6,8 miliardi di dollari già ottenuto per colmare il deficit di bilancio nell’anno finanziario 2022/23.
E nel suo primo bilancio da presidente, Ruto sta affrontando un ulteriore deficit fiscale di 5,6 miliardi, cosa che costringerà il parlamento, per il secondo anno consecutivo, ad aumentare il tetto del debito (fissato a 80 miliardi di dollari), per poter continuare ad ottenere finanziamenti.
A livello generale, circa il 60% dei paesi a basso reddito è in difficoltà a ripagare i debiti contratti. Sri Lanka, Zambia e Ghana sono già inadempienti e stanno lavorando con i creditori per trovare una soluzione che permetta loro di uscire dalla crisi.
A spingere per un’accelerazione del lento processo di alleggerimento del debito e per renderlo più prevedibile è anche la segretaria al tesoro degli Stati Uniti, Janet Yellen, che questa settimana partecipa agli incontri della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale. Istituzioni che, così come anche gli stessi Stati Uniti, continuano peraltro a elargire sostanziosi prestiti, perpetuando un circolo vizioso dal quale è difficile per i Paesi trovare vie di uscita.
Sulla ristrutturazione del debito resta il blocco della Cina, detentrice della maggior parte dei debiti esteri di molti paesi africani, tra cui anche il Kenya. (MT)