“Il mondo non vuole vedere: un Mozambico debole fa comodo”
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Parla il filosofo Ngoenha: «la comunità internazionale interverrà solo se verranno toccati i suoi interessi»
“Il mondo non vuole vedere: un Mozambico debole fa comodo”
Lo studioso commenta la crisi post-elettorale e le proteste convocate dal leader Mondlane
13 Novembre 2024
Articolo di Luca Bussotti
Tempo di lettura 5 minuti
Veduta di Maputo. (Credit: Hansueli Krapf/Wikimedia Commons)

In Mozambico il conflitto post-elettorale va verso una sostanziale internazionalizzazione, nel silenzio assordante della cosiddetta comunità internazionale. Le ultime iniziative di protesta indette dal leader dell’opposizione, Venâncio Mondlane, probabile vincitore delle ultime elezioni, nonostante il pronunciamento contrario degli organismi ufficiali, vanno al cuore del problema: l’economia nazionale, con risvolti internazionali immediati.

Il blocco dei principali posti di frontiera proposto da Mondlane, a partire da quello di Ressano Garcia col Sudafrica e il Corridoio di Beira con lo Zimbabwe, insieme ad altri luoghi strategici stanno infatti mettendo in ginocchio la già non fiorente economia mozambicana. Il governo di Pretoria aveva già chiuso nei giorni scorsi la frontiera col Mozambico, mentre il ministro degli esteri, Ronald Ramola, ha fatto appello alla calma, e il presidente Cyril Ramaphosa ha rimandato la spinosa questione alla prossima riunione dell’organizzazione regionale, la SADC, prevista per il 20 novembre.

Nel frattempo, però, gli storici alleati del partito al potere, il Frelimo, hanno già dato l’endorsment a Daniel Chapo, sino a oggi vincitore ufficiale della competizione elettorale nonostante i brogli ormai accertati che stanno rendendo la situazione ingestibile: lo ha fatto pochi giorni dopo le elezioni l’African National Congress (ANC) sudafricano, seguito a ruota dal presidente dello Zimbabwe e presidente della SADC, Emmerson Mnangagwa e da quello angolano, João Lourenço.

Il filosofo Ngoenha: la comunità internazionale non aiuterà

Severino Ngoenha, filosofo e rettore dell’Università tecnica del Mozambico, è stato uno dei promotori del Manifesto Cidadão, volto a organizzare una grande conferenza nazionale per la risoluzione pacifica del conflitto in corso. Una ipotesi, però, complicata. Come lo stesso professore, raggiunto in esclusiva da Nigrizia, ha evidenziato: «Le parti sono distanti, e lo scivolamento verso violenze gratuite e la distruzione del paese è già iniziato».

In particolare, Ngoenha ha voluto sottolineare il complesso quadro internazionale che si sta muovendo dietro a questo nuovo conflitto in Mozambico: «Il Papa ha fatto bene a ricordare il Mozambico, nelle sue preghiere – ha premesso il filosofo -. Purtroppo, però, i conflitti in corso in questo momento sono molti, e il potere negoziale della Chiesa è limitato, senza un sostegno dei principali paesi, europei in primo luogo».

Ngoenha si è poi interrogato: «D’altra parte, per quale motivo paesi come Italia, Francia, o gli stessi Stati Uniti dovrebbero intervenire? Lo faranno soltanto se i loro interessi saranno realmente minacciati, e questo non è il caso, visto che, dal lato italiano, l’investimento ENI sul gas è al sicuro, poiché è offshore, mentre, più in generale, in molti casi un Mozambico indebolito e fragile potrebbe fare più comodo rispetto a un paese con istituzioni solide e che si fanno rispettare. Per questo, secondo me, si parla molto poco di Mozambico in Europa, e in Italia in particolare».

Altro discorso, secondo Ngoenha, potrebbe riguardare i paesi vicini, soprattutto il Sudafrica, i cui interessi sono già stati messi a rischio a causa della chiusura delle frontiere: «Non sarebbe la prima volta che il nostro potente vicino decide di intervenire in territorio mozambicano, cercando di riportare ordine…». Un riferimento questo, al ruolo di Pretoria durante la guerra civile, in sostegno alla Renamo rivale di Frelimo. Ma anche, in tempi decisamente più recenti, alle operazioni di polizia oltre frontiera che le forze di sicurezza sudafricane compiono di tanto in tanto. 

Elezioni e giustizia sociale

Il problema principale, tuttavia, secondo Ngoenha, non è il risultato elettorale. Elezioni poco trasparenti, infatti, ci sono sempre state. Questa volta tuttavia, a causa del nuovo atteggiamento del leader dell’opposizione, Mondlane, non disposto a fare trattative sul conteggio dei voti, la situazione si è molto complicata. A detta di Ngoenha, «può governare chiunque, l’importante è un’uscita pacifica e rapida da questo conflitto. Occorre riaggiustare il paese, a partire dalle ingiustizie sociali ed economiche che si sono aperte negli anni Novanta, col processo di liberalizzazione economica. Questa fase – spiega il professore – ha portato alla formazione di un’èlite privilegiata che si è accaparrata i principali beni pubblici, lasciando il resto della popolazione nella miseria più nera.

Quando dico “uscita pacifica” – ha chiarito Ngoenha – non intendo dire fine delle ostilità e mantenimento dello status quo. Al contrario, bisogna smantellare grande parte della struttura dell’attuale stato, che si confonde col partito Frelimo, garantire accesso alla giustizia e soprattutto riequilibrare la poca ricchezza che abbiamo oggi nel paese».

Un compito assai complesso, «perché l’élite del Frelimo sta in tutti i gangli della vita economica del paese, sfruttando l’appartenenza politica, e sviluppando ogni tipo di affare, compreso il traffico di legname con la Cina e di droga con varie parti del mondo, tanto che il Mozambico, oggi, può essere considerato un narco-stato». Per questo, secondo il filosofo, la soluzione pacifica sarebbe l’unica possibile, ma anche quella, al momento, più difficile e persino improbabile.

Il nodo delle elezioni

Il nodo, comunque la si pensi, adesso riguarda come risolvere la questione elettorale: la decisione del Consiglio costituzionale in merito, attesa nei prossimi giorni, sarà determinante per capire se vi sarà una reale volontà di dialogo con l’opposizione, oppure se l’unica maniera di risolvere questa crisi sarà per mezzo di un nuovo, logorante conflitto fra un apparato dello stato sempre più indebolito – anche a causa degli attacchi jihadisti a Cabo Delgado – e giovani ormai determinati a portare avanti una lotta senza quartiere contro istituzioni che percepiscono come ostili, e di cui non hanno più timore.

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