Il mondo è rimasto colpito dalla notizia dell’agguato e dell’uccisione di Luca Attanasio, giovane ambasciatore italiano nella Repubblica democratica del Congo (Rd Congo) il 22 febbraio scorso.
Si è scoperto che quel paese esiste e che nelle sue regioni orientali – Nord Kivu, Sud Kivu e Ituri – quel tipo di crimini non sono affatto una novità: da oltre venticinque anni si combatte per terre e coltivazioni, minerali, petrolio, gas. È in atto un vero e proprio tentativo di balcanizzazione di quelle aree per controllarne le risorse in un complesso groviglio di multinazionali, gruppi armati, signori della guerra, nuclei di autodifesa, eserciti (congolese e dei paesi confinanti Rwanda, Uganda, Burundi).
Dove il Rwanda tiene le fila per conto terzi e comanda l’intera zona dei Grandi Laghi per sostenere il sistema mondiale degli apparati elettronici, che non vive senza coltan e cobalto. Un omicidio così pesante non può avvenire senza il via libera di Paul Kagame, alla testa del Rwanda dal 1994.
Da quel 22 febbraio i crimini non si sono fermati e tutto continua come prima. Anzi. Il Kivu Security Tracker ha denunciato che dal 2017 fino al 25 marzo 2021 si sono contati 4.373 morti – tra loro moltissimi civili – e 5.661 rapimenti. Nei giorni seguenti l’assassinio di Attanasio, Iacovacci e Milambo, 11 persone sono state ammazzate e una dozzina di case sono state bruciate.
Il 2 marzo è stato ucciso Williams Mulahya Hassan Hussein, il magistrato a capo del tribunale militare di Rutshuru, nel Nord Kivu, sulla stessa strada di Attanasio. E così via, in una escalation quasi quotidiana che sembra inarrestabile. Perché se ci fosse davvero una volontà politica, nazionale e internazionale, la soluzione si sarebbe già trovata da molto. Come è possibile che la forza della Monusco (contingente di caschi blu dell’Onu composto da 17.500 soldati) non arrivi a fermare questi crimini?
David McLachlan-Karr, vice-rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite in Rd Congo, ha dichiarato che gli assassini di Attanasio saranno «identificati e perseguiti con la massima determinazione». Parole vuote e insulto alle vittime, dal momento che nessuna azione concreta è stata finora intrapresa per frenare l’instabilità nella regione.
Onu inefficace e governo di Kinshasa assente, anche perché in via di ricomposizione dopo il ribaltone voluto dal presidente Tshisekedi: a chi ci si può appellare?
Facciamo nostra la proposta del premio Nobel per la pace 2018, il dottor Denis Mukwege, che ha proposto un Tribunale penale internazionale per la Rd Congo. Da quel momento ha ricevuto minacce di morte perché ha messo il dito nella vera piaga.
L’unico modo per fare davvero nomi e cognomi e portarli sul banco degli imputati. Per aprire finalmente gli occhi sul sistema di potere costruito nel cuore dell’Africa e funzionale alla ricchezza occidentale: il regime rwandese di Paul Kagame.
Kivu Security Tracker
Progetto congiunto del Congo Research Group e di Human Rights Watch, con sede nel Centro di Cooperazione internazionale della New York University, monitora la violenza dei gruppi armati e delle forze di sicurezza congolesi nelle province orientali del Nord e Sud Kivu, in Rd Congo. Il progetto ha l’obiettivo di far comprendere meglio le tendenze dei crimini, le cause dell’insicurezza, le più gravi violazioni dei diritti umani e della legge internazionale attraverso mappe, grafici e rapporti analitici.