La netta sconfitta del partito islamista, Partito della giustizia e dello sviluppo (Pjd), del premier Saad-Eddine El Othmani, è il risultato più significativo delle elezioni legislative, comunali e regionali dell’8 settembre. Il PJD, prima con Benkirane e poi con El Othmani, ha diretto ininterrottamente il governo del paese dal 2011.
Secondi i risultati comunicati dal ministro dell’Interno relativamente alla ripartizione dei 395 seggi della Camera, il vincitore delle elezioni è il Raggruppamento nazionale degli indipendenti (Rni) guidato dal miliardario Aziz Akhannouch con 102 seggi, seguito dal Partito dell’autenticità e della modernità (Pam) con 92, dall’Istiqlal (Indipendenza; il più vecchio partito marocchino) con 81, dall’Unione socialista delle forze popolari (Usfp, socialdemocratico), 35 seggi. Il Pjd arriva in ottava posizione con 13 seggi, ne aveva 125 nella passata legislatura.
Le dimissioni
La sconfitta cocente ha provocato le immediate dimissioni di El Othmani e della segreteria del partito e la convocazione straordinaria del Consiglio nazionale per valutare il voto dell’8 settembre. I partiti arrivati in testa alle elezioni, il Rni, il cui leader è ritenuto vicino al palazzo reale, e il Pam, fondato nel 2008 da un consigliere del re, sono entrambi prossimi alla monarchia.
La partecipazione è stata del 50,2%, contro il 43% delle precedenti elezioni, fugando in parte i timori della vigilia.
La tenuta in un’unica tornata, per la prima volta nella storia del paese, anche delle elezioni comunali e regionali ha certamente favorito un’affluenza più ampia. Il ministero dell’interno e la stampa hanno maliziosamente sottolineato una partecipazione superiore alla media nelle regioni del Sahara Occidentale occupato, assimilando la partecipazione a una sorta di conferma della sua “marocchinità”. Il Fronte Polisario, che si batte per l’autodeterminazione dell’ex-colonia spagnola, contesta la tenuta delle elezioni nel territorio che per l’Onu è ancora da decolonizzare e per questo si era anticipatamente rivolto al segretario generale Antònio Guterres.
Nelle elezioni locali si confermano sostanzialmente i risultati parlamentari con la netta vittoria del Rni e la disfatta dei Pjd. Il ministro dell’interno Laftit ha espresso la sua soddisfazione per lo svolgimento delle elezioni tenute nelle condizioni di emergenza dovute alla pandemia di Covid 19. L’alternanza al potere, una costante nella storia del Marocco, è inoltre rivendicata come un segno di democrazia, che consente di nascondere il fatto che la monarchia, pur “regolata” da una Costituzione, esercita un potere assoluto e discrezionale in diversi campi (interno, giustizia, esteri, difesa, religione).
Le ragioni della sconfitta
I motivi di una così sonora sconfitta da parte del partito islamista sono da ricercare nei magri risultati sul piano sociale che il governo da lui guidato ininterrottamente per 10 anni ha raccolto. Salito al potere con le elezioni del 2011 sull’onda della protesta del movimento del 20 febbraio, nel quadro delle rivolte popolari nei paesi arabi, ha deluso le promesse di combattere la corruzione e di favorire lo sviluppo. La disoccupazione è in costante aumento, e alla vigilia delle elezioni si attestava al 12,8%, contro il 12,3% di un anno prima.
L’aumento è particolarmente forte nelle zone urbane, dove è passato dal 15,6% al 18,6%, mentre il tasso di disoccupazione è diminuito nelle campagne. Su questo andamento pesa la pandemia, e le disuguaglianze sociali sono aumentate e solo l’intervento degli aiuti pubblici le ha attenuate. La gestione della pandemia è stata particolarmente difficile e fonte di numerose proteste.
Le mosse del re
Alla disfatta contribuisce anche l’intelligente interpretazione della funzione regale. Il re, infatti, non assume direttamente la responsabilità del governo, ma mette in scena, soprattutto dopo la stagione delle rivolte popolari, un costante distinguo tra l’azione governativa e gli “orientamenti” volti a rimediare alle insufficienze e agli errori del governo, lasciando indenne la monarchia da colpe, anzi intestandosi il merito delle grandi “riforme”. L’aiutano in questa messa in scena la repressione del dissenso, soprattutto nel campo dei social, come evidenziato dallo scandalo della sorveglianza dei cellulari degli oppositori attraverso il software israeliano Pegasus.
Il parlamento, come di consueto, non esprime una maggioranza assoluta, e il futuro governo sarà di coalizione. Del resto la nuova legge elettorale favorisce la frammentazione, soprattutto limita l’emergere di un partito predominante. Non a caso il Pjd si era opposto alla riforma.
Il re Mohammed VI, cui secondo l’art. 47 della Costituzione spetta il potere di designare il primo ministro tra gli esponenti del partito vincitore delle elezioni, lo affiderà dunque al Rni. Il suo leader si è già detto pronto a governare con l’insieme dei partiti che condividono la sua visione e i suoi valori. Il fatto che i primi due partiti siano vicini al re, non impedirà a quest’ultimo di prendere le distanze ogni qualvolta la sua immagine rischierà di essere messa in cattiva luce.