«Nell’ultimo anno e mezzo in questa parte del continente, in Africa occidentale e in particolare nel Sahel, c’è stata un’epidemia di colpi di stato (in Mali, Burkina Faso e il tentato golpe in Guinea-Bissau, ndr), per citare le parole del segretario delle Nazioni Unite. Un’area turbolenta, ma non il Ghana e il Togo, che rimangono esempi di stabilità».
Ed è da un anno e mezzo che Daniela d’Orlandi ricopre l’incarico di ambasciatrice di questi due paesi. In piena pandemia, in pieno periodo di turbolenze sociali e politiche. La incontriamo nella sede di Accra. Una sede che ha colmato anche di atti gentili e informali: piantare fiori nella residenza diplomatica, preparare tiramisù quando vengono organizzati eventi in ambasciata, senza dimenticare quei due gattini lasciati in eredità da qualche predecessore, Fufu (dal nome del famoso piatto locale) e Simba.
Le chiediamo il motivo per il quale Ghana e Togo – soprattutto il primo – sembrano lontani da rischi di delegittimazione dello stato, così forti in altri paesi.
Uno dei motivi è che sono estremamente impegnanti a contrastare una doppia minaccia: quella della destabilizzazione proveniente dal Sahel e le possibili infiltrazioni terroristiche lungo le loro frontiere settentrionali – tutti e due confinano con il Burkina Faso – e a sud la minaccia della pirateria nel Golfo di Guinea.
Quest’area del mondo ha registrato il 90% degli attacchi di pirati nell’ultimo biennio e nel 94% dei sequestri. In tale contesto è molto apprezzato il sostegno dell’Italia a contrastare la pirateria e i traffici illeciti in mare con esercitazioni congiunte e attività di formazione con le marine degli stati costieri. Impegni condotti dalle fregate italiane dispiegate nel Golfo di Guinea.
Un altro elemento che spiega questa stabilità è la coesistenza pacifica che questi due paesi sono riusciti a mantenere tra gruppi appartenenti a etnie e a religioni diverse. Un incontro che mi ha molto colpito è stato quello con il capo imam. Ha 102 anni, e alla sua età continua a diffondere messaggi di pace e tolleranza. Se ci fossero più personaggi così, nel mondo ci sarebbero sicuramente meno conflitti.
I rapporti tra l’Italia e questi due paesi, in special modo il Ghana, sono molto stretti e vanno indietro nel tempo. L’ambasciata ad Accra è stata inaugurata nel 1958, solo un anno dopo la proclamazione dell’indipendenza dal dominio britannico. In cosa si evidenzia il rapporto di amicizia e di collaborazione tra il nostro e questi paesi?
Sono rapporti eccellenti in tutti i settori, in quello dell’interscambio commerciale per esempio: l’Italia importa materie prime, prodotti agricoli, frutta tropicale ed esporta macchinari, tecnologia, prodotti farmaceutici. Ritengo che l’Italia possa dare un contributo molto importante alla trasformazione di tutte queste risorse naturali e sviluppare le industrie locali. Il partenariato sul piano commerciale può essere di reciproco interesse.
Poi c’è, sul piano politico, una condivisione di valori per quanto attiene la promozione della pace e della sicurezza, il multilateralismo e l’integrazione regionale. Il Ghana dal 1° gennaio è membro non permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu, il capo di stato ghaneano è l’attuale presidente della Cedeao/Ecowas, quindi molto attivo nelle crisi regionali e negli sforzi volti a stabilizzare il Sahel che è anche una priorità del nostro paese.
Il Togo è stato vicepresidente del Consiglio dei diritti umani del 2020 durante il mandato dell’Italia. Come è noto il 1° gennaio dello scorso anno è entrato in vigore l’accordo di libero scambio dell’Africa continentale (AfCFTA o Zleca) che sicuramente darà grandi opportunità in materia di crescita economica.
Ghana e Togo si stanno impegnando molto per il successo di questo accordo e in questo possono contare sul sostegno dell’Italia che finanzierà programmi di formazione per i funzionari del segretario – che ha sede ad Accra – dei ministeri interessati ma anche entità pubbliche come le dogane. Tutto questo incrementerà anche i rapporti commerciali dei nostri partner africani con l’Ue e con l’Italia.
Lei ha citato il ruolo del Ghana – nella figura del suo presidente ora a capo dell’Ecowas – come mediatore della pace nel Sahel. Ma non sembra che questa mediazione stia funzionando al momento…
Quello che posso dire è che il presidente Akufo-Addo è un leader estremamente rispettato a livello regionale, continentale e multilaterale, anche alle Nazioni Unite. Tra l’altro è uno degli advocates degli Obiettivi di sviluppo sostenibile, quindi è sicuramente una voce molto autorevole e, insieme alla ministra degli esteri, Shirley Ayorkor Botwe, sono estremamente coinvolti.
Come si muove l’Italia nell’ambito della cooperazione internazionale in questi due paesi. E quali attività e interventi sono privilegiati?
Nell’ultimo decennio il programma più importante della cooperazione italiana è stato quello volto a sostenere il settore privato ghaneano con particolare riguardo alle Piccole e medie imprese (Pmi), un programma di circa 30 milioni di euro. Attualmente stiamo finalizzando le prime due fasi del programma. L’obiettivo sarebbe quello di avviare una terza fase, sempre a sostegno delle Pmi, con una spesa di circa 20 milioni di euro.
Quindi la cooperazione privilegiata non è stata quella di tipo assistenziale, bensì una cooperazione catalizzatrice di sviluppo, di crescita, in linea peraltro con l’agenda del presidente Nana Akufo-Addo di un “Ghana beyond the aid” cioè di un Ghana che possa crescere e svilupparsi in modo sostenibile con le proprie risorse.
A questo proposito ritengo molto importante l’apertura qui in seno all’ambasciata, lo scorso dicembre, di un’antenna dell’ufficio dell’Agenzia italiana della cooperazione allo sviluppo competente per il Ghana e per il Togo. Con questa presenza in loco ci saranno altre opportunità, magari di sostenere progetti già avviati qui in Ghana dalla società civile o dai missionari, oppure di avviare progetti anche in Togo e, perché no, in partenariato con le agenzie delle Nazioni Unite, come Unicef e Oim.
I settori privilegiati saranno quelli della sicurezza alimentare, l’azione climatica, le Pmi, con l’attenzione alla crescita delle forze locali, all’inclusione dei giovani e delle donne. Ma la società civile, devo dire, è molto presente in entrambi i paesi. Aggiungo che qui in Ghana ci sono una quarantina di Ong e associazioni italiane e una decina sono in Togo.
Quanti sono gli italiani iscritti all’Aire?
Per il Ghana sono circa 750 e una cinquantina per il Togo. Una novità importante è che è stata finalizzata, dopo una vacanza di oltre cinque anni, la nomina di un nuovo console generale onorario d’Italia a Lomé, che rappresenterà senz’altro un punto di riferimento importante per i nostri connazionali in Togo. In questo modo si potranno erogare più servizi rispetto a quanto era nelle competenze del corrispondente consolare.
In che modo l’ambasciata italiana fa sentire la sua presenza ai cittadini espatriati?
L’ambasciata deve far sentire la sua vicinanza soprattutto in tempi difficili, come è stato per la pandemia. Abbiamo lavorato molto lo scorso anno per nostri connazionali non iscritti all’Aire, che non avevano mai manifestato la loro presenza all’ambasciata. A causa della pandemia si sono ritrovati disoccupati, ammalati, indigenti, con un permesso ghaneano scaduto.
Li abbiamo aiutati a regolarizzare la loro situazione sul territorio ghaneano e per chi ne aveva bisogno, abbiamo favorito le procedure di rimpatrio. Lo abbiamo fatto anche con i connazionali che erano sulle nostre fregate e in alcuni casi è stato necessario organizzare rimpatri sanitari urgenti.
La presenza degli investitori italiani, in Ghana specialmente, è storica. Durante il periodo peggiore della pandemia cosa è accaduto? Ci sono stati cali negli investimenti e nelle manifestazioni di interesse per questi paesi?
La presenza degli investitori italiani è effettivamente storica perché l’Italia ha contribuito a investimenti iconici nel paese. Basti pensare alla diga di Akosombo che ha dato luogo al più grande lago artificiale del continente, il Volta. O ancora la costruzione della prima raffineria di petrolio a Tema. Tuttora l’Eni, con oltre 7 miliardi, è il principale investitore privato bilaterale nel paese.
Devo dire che nonostante la pandemia c’è stato sempre un nutrito interesse degli investitori italiani a venire in Ghana. Le opportunità sono numerose e in vari settori: agroalimentare, energia, energie rinnovabili, costruzioni, infrastrutture. Ma anche difesa, educazione e turismo dove ci sarebbe ancora molto da fare.
Cosa sta facendo l’ambasciata per consigliare e accompagnare gli investitori italiani?
Innanzitutto rispondiamo alle richieste di informazioni, poi quando ci sono offerte commerciali cerchiamo di promuoverle presso gli interlocutori locali, di agevolare, quando è necessario, gli incontri istituzionali e di promuovere i partenariati tra le ditte italiane di un determinato settore e quelle locali dello stesso settore.
Presso l’ambasciata lavoriamo in stretta sinergia con l’ufficio Ice e con l’ufficio Sace che al momento – ma ancora per poco – non ha una sede fisica. Se un investitore ritiene di avere un buon progetto può scriverci.
La pandemia ha rallentato il rilascio dei visti? E perché è così difficile ottenere un visto per l’Italia?
Sì, a causa della pandemia c’è stata una drastica riduzione del numero dei visti rilasciati (nel 2019 erano stati circa 9mila). Ma questa riduzione è anche dovuta alla sospensione dei visti turistici Schengen, non solo dunque verso l’Italia. Tuttavia la domanda di visti per studio, affari e ricongiungimenti familiari si è mantenuta costante. Del resto, in Italia c’è una delle comunità ghaneani più importanti d’Europa, quasi 100mila persone.
Per quanto riguarda i rilasci, ovviamente a seconda della motivazione del viaggio e tipologia del visto richiesto ci sono requisiti che è necessario rispettare. Se nella domanda viene meno una delle condizioni prevista dalla normativa, il visto non può essere rilasciato.
L’ambasciata comunque è sempre rimasta aperta, anche se ci sono stati alcuni casi di Covid e quindi sono state adottate le necessarie cautele, messo in isolamento i dipendenti che si sono ammalati e ci sono stati momenti in cui è stato necessario lavorare da casa. Da casa si può rispondere ad email ma non si possono ovviamente stampare visti o portarsi dietro i documenti, quindi si sono creati degli arretrati.
Lei è anche un’esperta di diritti umani, ha prestato servizio presso la Rappresentanza permanente d’Italia al Consiglio d’Europa dove si occupava di diritti umani e, nel 2016, è stata prima consigliera alla Rappresentanza permanente d’Italia presso le Nazioni Unite a Ginevra, responsabile della sezione diritti umani durante il mandato dell’Italia nel Consiglio dei diritti umani, appunto. Cosa sta facendo l’Italia per accompagnare l’Italia e il Togo verso la realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu?
Comincio citando l’obiettivo 2 legato alla sicurezza alimentare e agricoltura sostenibile. La Cassa depositi e prestiti sta partecipando con una quota di oltre 44 milioni di dollari in un programma volto a sostenere la produzione di cacao in Ghana per aumentarne in modo sostenibile la quantità e la qualità a beneficio degli agricoltori.
Nell’ambito dell’educazione di qualità, obiettivo 4, l’Italia offre ogni anno borse di studio, della Farnesina e del programma Invest your talent in Italy, che è un programma della Farnesina, Ice, Confindustria, Unioncamere e le principali università italiane. L’obiettivo è dare la possibilità ai migliori talenti locali di perfezionarsi nel nostro paese.
Sempre nel settore della formazione da sette anni sosteniamo un master per giovani imprenditori promosso dalla Fondazione E4Impact dalla Cattolica di Milano insieme alla Upsa, l’università per gli studi tecnici e professionali di Accra. Vorrei citare un esempio di successo di questo master, Bola Ray. Era un dj e oggi è un grande imprenditore nel settore dei media.
Sempre parlando di educazione, il gruppo De Lorenzo in partenariato con il ministero dell’educazione ghaneano sta costruendo nelle varie regioni del paese 5 centri di eccellenza per la formazione tecnico professionale.
Infine, ricordo l’obiettivo 13, la lotta al cambiamento climatico. C’è un programma del ministero della transizione ecologica italiano in collaborazione con l’Undp che consiste nella riforestazione della savana settentrionale con alberi di karitè. Si è scoperto che tali alberi assorbono le emissioni carboniche, inoltre con questo progetto si mira a potenziare il lavoro delle donne che da quest’albero traggono prodotti.